"the problems we all live with" di norman rockwell

mercoledì 25 maggio 2011

L'onesto fuorilegge

"Devi Essere Onesto per Vivere Fuori Legge"

Bob Dylan è un fuorilegge.
...ma se che il fuorilegge poetico e coraggioso, quello che sta dalla parte giusta e che va oltre e in mezzo alle regole per rispondere a principi più alti..., quel fuorilegge deve essere onesto.
Deve avere la fedeltà dell'onesto alla verità.


Noi viviamo tempi in cui dietro la legge e dentro la legge si nasconde invece l'interesse del forte, del furbo e del potente...
E' soprattutto per questo, e non solo perché oggi Dylan compie 70 anni, che abbiamo bisogno di ricordarci le sue parole, la sua poesia, i suoi sogni, le sue accuse, le sue provocazioni.





lunedì 23 maggio 2011

23 maggio 1992 - 2011 : ricordare perché non accada mai più

"Temo che la magistratura torni alla vecchia routine: i mafiosi che fanno il loro mestiere da un lato, i magistrati che fanno più o meno bene il loro dall'altro, e alla resa dei conti, palpabile, l'inefficienza dello Stato"
(Cose di Cosa Nostra, intervista a Giovanni Falcone)

Il 23 maggio di 19 anni fa Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo venivano uccisi dal tritolo della mafia nella terra cui avevano dedicato la loro vita.

Ricordare la storia è un omaggio a chi è morto per fare il suo dovere, ma anche l'unico modo per evitare di ripeterla...

Speriamo che nel futuro ci sia un Paese in cui sono le istituzioni tutte a combattere mafia e illegalità : questo compito non deve essere lasciato solo a pochi "eroi", ma è dovere di tutte le persone perbene.


sabato 21 maggio 2011

MENO FIGLI ...E MENO LAVORO : I CONTI NON TORNANO

Internazionale ha pubblicato una statistica dell'Ocse che fotografa e mette a confronto due dati : il livello di occupazione femminile e il numero di figli per donna.


Il dato interessante è che tendenzialmente i paesi con alte percentuali di occupazione sono anche quelli con un più alto numero di figli... come a dire : l'ostacolo ad avere figli non è l'impegno lavorativo della donna ma la mancanza di sostegno pubblico (asili, permessi, scuola a tempo pieno...).


Ecco alcune cifre


In Norvegia lavora il 74,4 % delle donne e hanno 2 figli ciascuna.
In Svezia sono occupate il 70,2 % delle donne e hanno 1,9 figli in media.
In Italia il tasso di occupazione femminile è un desolante 46,4 %, accompagnato da 1,4 figli per donna.


Sono cifre su cui riflettere, non solo per diventare un paese che davvero valorizza il ruolo della donna nel mondo del lavoro e in generale la sua partecipazione alla vita pubblica... ma anche perché la crescita demografica è un elemento pressoché decisivo per poter pensare di crescere anche economicamente.


La crescita e il ringiovanimento della popolazione sono alcune delle ragioni strutturali che hanno consentito agli Stati Uniti di restare un paese trainante per lungo tempo. 
Il migrante di solito fa più figli ed è particolarmente motivato per migliorare la sua condizione sociale, garantendo sacrifici e impegno per il progresso che molti figli del benessere non hanno alcuna intenzione o interesse a mettere in campo, potendosi "sedere" sulle ricchezze dei padri.


E il ringiovanimento non è solo forza lavoro di basso livello, ma si trasforma anche in capacità di innovazione, altro terreno chiave per le prospettive di ogni paese ed economia.


Ridare dignità e spazio alle donne come SOGGETTI (e non oggetti) è necessario per uscire dal pantano nel quale siamo finiti.



venerdì 20 maggio 2011

Le stragi del 1992 : una storia per un popolo maggiorenne

“Non ebbe la possibilità di portare a compimento le sue potenzialità ed è per questo che la sua memoria insegue e stimola così tanti di noi. Perché voleva che il lavoro fosse portato a termine, perché era spesso impaziente e combattivo.”
                                        (Robert Kennedy e il suo tempo, A.M. Schlesinger)                                       

Queste parole, che in realtà si riferiscono a Robert Kennedy, mi vengono in mente quando penso alle vite delle due figure simbolo della battaglia contro la mafia: Paolo Borsellino e Giovanni Falcone... e mi ricordano perché questi due uomini hanno significato tanto per me, facendomi desiderare di fare il mestiere che faccio, e per tutti coloro che sono mossi dal desiderio e dal sogno di un paese migliore, libero dalla corruzione e dall’illegalità, un paese che offra opportunità a tutti e che non abbia bisogno di eroi ma solo di persone oneste che facciano la loro parte per il bene della collettività.
Falcone e Borsellino vennero uccisi tuttavia perché almeno un capitolo fondamentale del loro lavoro lo avevano portato a compimento: il 30 gennaio 1992 la Corte di Cassazione confermava gli ergastoli del processo istruito per anni dal pool di Palermo decretando così il successo della strategia di Paolo e Giovanni, che ebbero la capacità e l’audacia di processare per la prima volta la mafia come sistema unitario, come organizzazione verticistica e di potere, quella raccontata da Buscetta e da tutti gli altri collaboratori che si erano decisi a rispondere alle domande degli inquirenti, forse percependo che la parte sana dello Stato poteva davvero vincere la guerra.
Subito dopo quella storica sentenza Cosa Nostra reagiva uccidendo Salvo Lima, potente senatore andreottiano simbolo di una stagione politica che aveva usato la mafia per raccogliere consenso permettendo a questa di prosperare con i suoi affari. Con l’assassinio di Lima i “corleonesi” stavano dicendo che quell’epoca era terminata, che il patto era sciolto e la partita si riapriva.
A scombinare i piani era stato lo stesso Falcone, che agendo dal suo ufficio all’interno del Ministero della Giustizia fece in modo che il collegio decisivo non fosse presieduto dal giudice Carnevale, assolto nel 2002 dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa dopo una condanna a 6 anni in appello.

Ma torniamo al 1992 e facciamo un breve cronistoria.
Ø Il 30 gennaio la Corte di Cassazione conferma gli ergastoli alla cupola di Cosa Nostra
Ø Il 12 marzo Salvo Lima viene ucciso a Palermo
Ø Il 5 aprile le elezioni politiche decretano il successo del Partito Socialista, l’avanzata della Lega Nord, e la regressione della DC, sotto al 30%, anche per lo perdita del bacino di voti assicurato dalla mafia
Ø Il 23 maggio una carica di tritolo degna di una paese in guerra uccide Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti di scorta
Ø L’emozione e lo shock generati dalla strage di Capaci sbloccano la situazione politica e il 26 maggio viene eletto a sorpresa Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro
Ø Il 19 luglio un’autobomba uccide Paolo Borsellino e la sua scorta in via D’Amelio

Non è possibile adesso ripercorrere in maniera esaustiva la storia di questi eventi e delle indagini che sono seguite e quindi mi limiterò a sollevare due questioni per la nostra riflessione:
1.      la prima:
Falcone e Borsellino non vennero uccisi solo per quello che avevano fatto, ovvero il maxiprocesso, ma anche per quello che volevano ancora fare… ovvero la guerra al terzo livello, alla borghesia mafiosa, alla struttura di potere ed economica che teneva (e tiene) i fili della grande criminalità organizzata e della corruzione in Italia, manovrando appalti, spostando voti alle elezioni, inquinando il libero mercato attraverso il riciclaggio di denaro sporco…
2.     la seconda:
Sebbene le due stragi siano intimamente connesse, le indagini hanno fatto comprendere come l’attentato di via D’Amelio non sia stato solo e semplicemente il secondo capitolo della vendetta iniziata a Capaci.
Vi sono troppi interrogativi rimasti aperti, troppe tracce parlano del coinvolgimento di parti dello stato che potrebbero aver usato Cosa Nostra per fare un lavoro gradito e utile non soltanto a Cosa Nostra. Per non parlare della scomparsa dell’agenda su cui Paolo Borsellino annotava gli appunti più riservati e delicati delle sue investigazioni.

Le stragi del 1992 non possono essere relegate nella sola storia criminale di questo Paese, o raccontate esclusivamente nelle pagine di cronaca giudiziaria… oppure ridotte a fenomeno meridionale.
Nel 1993 gli attentati di Roma, Milano e Firenze, che oggi sappiamo essere stati opera di Cosa Nostra, riportarono in Italia un clima che si pensava appartenere al passato, e ciò accadeva proprio mentre le indagini di Mani Pulite, esplose nel 1992, svelavano l’oscena corruzione del potere politico in Italia decapitando un’intera classe dirigente.
La concomitanza di questi eventi, qualche anno dopo il crollo del muro di Berlino, non era causale e non rappresentava soltanto la drammatica fine di una fase storica: in quegli anni e con il sangue delle stragi di Capaci e via D’Amelio si stavano decidendo gli assetti di potere futuri e in particolare il rapporto tra mafia e potere politico.

La morte di Falcone e Borsellino e l’omicidio di Lima, pur nei loro significati opposti, erano tutti sintomatici di una sfida lanciata ai massimi livelli: i corleonesi, che in quel momento guidavano la cupola con Riina, volevano dimostrare la loro forza e al contempo far capire ai vecchi referenti politici che la situazione stava cambiando.
Si rivelò una strategia folle, e che infatti in seguito Provenzano abbandonò: lo Stato, che da sempre aveva volentieri stretto taciti e inconfessabili accordi con la mafia sottobanco con reciproco beneficio, non poteva non dare segni di reazione di fronte a eventi così clamorosi: si giunse così a una nuova legislazione antimafia (dall’inasprimento del 41bis alle norme sulla confisca dei beni) e alla straordinaria stagione del pool di Palermo diretto da Caselli, che conseguì risultati eccezionali.
Ecco la fotografia che di questo passaggio fece il Procuratore Aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato in una relazione letta a Palermo il 19 febbraio 2005:
Nella crisi degli assetti della classe dirigente della prima Repubblica, si apriva agli inizi degli anni Novanta una parentesi storica […] durante la quale il sistema di potere nazionale perdeva  temporaneamente il controllo di alcuni sottosistemi strategici, quale quello dell’ amministrazione della giustizia.
Per la prima volta nella storia del paese, la magistratura operava come una variabile indipendente dal sistema politico, inverando nella prassi il dettato costituzionale dell’indipendenza dell’Ordine giudiziario, rimasto sino ad allora  virtuale affermazione di principio.
Per alcuni anni […] il pianeta mafia ruotando su se stesso ha mostrato pienamente per la prima volta entrambe le sue facce – quella della mafia militare e quella della mafia borghese , che si sono rivelate l’una il rovescio dell’altra, componenti dello stesso sistema di potere.

Ma proprio quando ci si incominciava ad avvicinare alle stanze dei bottoni, il clima sociale e politico cambiava nuovamente.
Il Paese ebbe una sorta di crisi di rigetto e quella stagione di successi giudiziari e di rinascita morale che poteva preludere a un vero ricambio della classe dirigente si interruppe: gli entusiasmi verso le indagini divennero diffidenza, il sostegno per le procure si trasformò in sospetto, la fiducia nella magistratura fu spazzata via da una stagione di violenta e volgare delegittimazione che ancora oggi pare non aver terminato il suo lavoro di erosione ed isolamento dell’ordine giudiziario.

Ricordiamoci di questo: la consapevolezza e la presa di posizione dell’opinione pubblica a favore della legalità sono condizioni necessarie perché il disegno della nostra Carta Costituzionale si realizzi pienamente e la magistratura sia davvero soggetta solo alla legge e non subordinata o intimidita o limitata da un potere politico che vuole le mani libere e quindi non sopporta che si indaghi sul fenomeno della corruzione nella pubblica amministrazione, sulle ruberie delle ricchezze pubbliche o sulla connivenza della classe dirigente politica ed economica con la criminalità organizzata.
Quando è la gente per prima a non voler più cercare la verità, a non pretendere più giustizia uguale per tutti, allora la magistratura si ripiega in sé stessa e la sua possibilità di fare luce e fare giustizia è fortemente ridotta.
La giustizia italiana necessita riforme così come la magistratura, ma un Paese democratico deve avere la forza e la lucidità per riformare il sistema preservando quel bene fondamentale per la collettività (e non solo per i magistrati) che è rappresentato dall’indipendenza del potere giudiziario. E soprattutto delle Procure, vero motore della giurisdizione e del controllo di legalità.

Alla vigilia delle elezioni del 27 marzo 1994, vinte da Berlusconi e dalla formazione politica creata in pochi mesi da Dell’Utri, Cosa Nostra era sul punto di entrare direttamente in politica, anche approfittando delle praterie lasciate libere da Mani Pulite, con un partito di tipo secessionista sul modello della Lega Nord.
Questo progetto fu poi abbandonato ma solo per tornare allo schema più classico, ovvero quello della ricerca di uno (o più) referenti politici a cui affidare gli equilibri di potere e gli enormi interessi economici della mafia.
È in questo quadro inquietante che si inserisce la vicenda non ancora chiarita delle trattative segrete che vi sarebbero state tra Cosa Nostra e parti delle istituzioni, iniziate ancor prima probabilmente della strage di via D’Amelio, cui si sarebbe giunti anche perché il Procuratore Borsellino non ostacolasse questa possibilità di accordo.

Il  personaggio interpretato da Gian Maria Volontè nel film “Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” usa una frase suggestiva per spiegare che la massa non può e non deve sapere tutto: “il popolo è minorenne” …

Vogliamo essere un popolo di minorenni, vivere da cittadini inconsapevoli che credono ci sia democrazia e libertà solo perché di tanto in tanto possiamo andare a votare, magari senza nemmeno poter esprimere una preferenza ?
Oppure vogliamo davvero scoprire cosa è accaduto tra il 1992 e il 1994, così che il futuro della nostra democrazia e delle nostre istituzioni non rischi di poggiare le sue fondamenta in un terreno corrotto e inquinato ?

Non si tratta di tifare per questa o quella indagine: la magistratura, come tutte le istituzioni, ha bisogno di fiducia e rispetto, non di supporters… Bisogna restare cauti e andare avanti, sapendo che  quando lo Stato torna forte e autorevole è più facile andare fino in fondo.

Ma, come dicevo all’inizio, le stragi del 1992/1993 non sono soltanto storie criminali; non si tratta soltanto di gravissimi reati… sono vicende che hanno determinato gli assetti del potere e la vita delle istituzioni democratiche : per questo le risposte non possono e non devono essere cercate solo nelle indagini giudiziarie.
La storia, il giornalismo e la politica devono assumersi le loro responsabilità.
Il popolo deve chiedere e pretendere di diventare maggiorenne ed essere trattato come tale.

sabato 14 maggio 2011

per non dimenticare l'articolo 27...

In questi anni di basso impero è difficile alzare lo sguardo e cercare di volare alto; eppure non possiamo rassegnarci a far dettare l'agenda delle riforme in campo di giustizia dagli imprenditori della paura che sfruttano l'emotività della massa e un'informazione spesso immatura.


Ecco perché  oggi vorrei cominciare a parlare di pena....
Le condizioni delle carceri e l'uso della pena sono una cartina tornasole importantissima della civiltà di un paese...e il nostro stato di salute è pessimo.


In questi anni l'unica risposta che si è saputo dare ai problemi è quella dell'aumento della sanzioni : in questa direzione si inseriscono ad esempio i numerosi (ed estemporanei) pacchetti sicurezza.
Ma la c.d. sicurezza che nasce dalla paura non sarà mai capace di portare soluzioni vere e durature : essere duri è spesso soltanto la soluzione più semplice, facilmente spendibile da una politica ridotta a propaganda...
La speranza nel futuro e il coraggio di dare una nuova chance a chi ha sbagliato sono le vere virtù del forte.


Serve lucidità e coraggio (doti non proprio diffusissime nel nostro dibattito pubblico) per aiutare i cittadini (non la massa...) a comprendere che la risposta repressiva deve essere sempre equilibrata, proporzionale, mirata. La giustizia penale non è uno strumento di vendetta e ciò non solo per un fatto di civiltà ma anche perché una pena equa e che rispetta la dignità della persona è anche la vera speranza per reinserire chi ha sbagliato nella società.


L'odio sparge sale sulle ferita e non aiuta né la vittima né il condannato. La società deve farsi carico di quello strappo rappresentato dal reato: non solo per punirlo, ma anche per comprendere come ciò si sia generato e ricucire le ferite.


Chi si occupa di pena e di carcere può testimoniare come la durezza del carcere non induce ad alcun ripensamento o assunzione di responsabilità, generando solo ulteriore rancore, rabbia e chiusuraSe la pena è invece equilibrata, se il carcere diventa un luogo umanizzante e aperto e non un ghetto dove esiliare gli emarginati... allora possiamo coltivare la speranza di realizzare il precetto costituzionale :


articolo 27
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.


Non si tratta di buonismo : le politiche fatte solo di repressione hanno storicamente fallito (pensate alla droga... di cui magari parleremo con calma) e falliscono perché non vanno alla radice del problema e non aiutano un recupero di chi ha sbagliato, che continuerà così il suo percorso criminale ai margini.
Ad esempio : di fronte alla guida in stato di ebbrezza, perchè non ci si pone anche un problema di educazione e di analisi del disagio giovanile e non solo ? oppure si pensa che basterà essere solo più cattivi con chi viene beccato per far smettere gli abusi ?


Chi fa il genitore sperimenta che una pena troppo severa non viene accettata e genera repressione, mentre una punizione equilibrata e mite - ma autorevole - suscita ripensamento.


Purtroppo spesso vediamo come dalla civiltà del diritto siamo oggi passati ad un diritto spesso incivile.
Anche di fronte alla recente decisione della Corte Costituzionale che ha cancellato l'obbligatorietà di tenere in carcere anche durante la  fase cautelare gli indagati di alcuni reati gravi, un ministro reagisce dicendosi "allibito"... allibito per l'affermazione di basilari principi di civiltà giuridica ? 


Il punto è che si devono sempre e solo inseguire e assecondare i più bassi istinti della massa : è più facile urlare al mostro e parlare di sicurezza che affrontare il tema della responsabilità personale e farsi carico della rieducazione e del reinserimento del condannato.


Ci sentiamo tutti potenziali vittime e nessuno pensa di essere un potenziale autore di un reato , come se invece la possibilità dell'errore e della devianza non sia nel cuore di ciascuno.


Arriviamo infatti al paradosso di dover reinserire nella società chi in quella società spesso non si era mai saputo inserire, spesso per ragioni non solo legate alle scelte personali, ma per un complesso intreccio di vicende culturali e famigliari (la psicologia potrebbe insegnarci molto su questo...).
Colpa anche di un diritto penale delle favelas che si occupa con durezza degli emarginati ed è invece assente o spesso titubante con i colletti bianchi e la borghesia mafiosa.


...in attesa che anche la politica torni a parlare alle nostre teste invece che alle nostre pance... restiamo umani.





mercoledì 11 maggio 2011

RIFIUTI AI PM E LA SPERANZA WALL E


Berlusconi : "i rifiuti li porterei nelle procure"
...ora ho anche capito dove vorrebbero fare i siti per le centrali nucleari finora non rivelati ! Così la nostra diversità antropologica subirá anche interessanti modifiche genetiche...

Se per restare bambini abbiamo bisogno di saperci stupire, dobbiamo ringraziare molto la classe politica di questi anni : a me lascia la bocca aperta ogni giorno.

La cosa seria e grave è che siamo talmente sommersi da questo modo di attaccare e (non) argomentare che non riesco più a immaginare antidoti interni al sistema: mi pare possibile solo cercare di salvare una pianticina come in "wall e" , in attesa che l'inquinamento diminuisca e sia possibile tornare a coltivare qualcosa in quel pianeta curioso chiamato Italia.


venerdì 6 maggio 2011

a postcard from Stockholm

come sono sorridenti e sollevati i prosecutor svedesi al momento di tornare nei loro uffici dopo avermi sentito parlare di come funziona da noi il lavoro per un pubblico ministero: delle centinaia di indagini che dobbiamo cercare di mandare avanti (noi abbiamo una media di circa 800 casi ciascuno, loro circa 50 a testa...), della burocrazia (loro possono chiudere un caso senza chiedere niente a nessuno e talvolta anche decidere la sentenza se non si tratta di comminare pene detentive), delle trappole procedurali (non hanno la nostra selva di notifiche e garanzie anche per i reati minori...), della penetrazione della corruzione e del crimine organizzato...

ma sono felice di tornare : per qualche strano motivo ho ancora più voglia di fare la mia parte e mi tengo l'illusione e il sogno che la storia non è sempre destinata a ripetersi uguale a sé stessa.

e come diceva Lennon... non sono l'unico sognatore.
greetings from Stockholm