"the problems we all live with" di norman rockwell

venerdì 27 novembre 2015

COSA CHIEDIAMO ai GIUDICI e COSA CI DIFFERENZIA dai TERRORISTI

L'editoriale pubblicato oggi sul Corriere della Sera, a firma di Angelo Panebianco, punta il dito contro le timidezze dei magistrati nel contrastare il terrorismo internazionale.

Riporto alcuni passaggi illuminanti (per così dire...) del ragionamento adottato, che prendono spunto dal fatto che un Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto di non convalidare un arresto di presunti jihadisti: 
"Il giudice conosce le carte e noi no. Forse ha ragione. I precedenti però non sono incoraggianti"

Sulla scorta di questa allusiva affermazione si citano dei casi in cui in passato la magistratura si sarebbe dimostrata troppo morbida, danneggiando così la lotta al terrorismo.

Panebianco in altri termini chiede alla magistratura di assumersi una responsabilità ulteriore nei procedimenti che riguardano presunti terroristi: non solo e non tanto l'accertamento dei fatti e delle responsabilità secondo le regole del processo...ma dimostrare una sensibilità diversa così da non rischiare di apparire deboli verso i terroristi. 
Il che, per uscire dalla retorica, si tradurrebbe in condannare o applicare misure cautelari anche quando gli standard probatori stabiliti dal legislatore non lo consentirebbero...

Si tratta a mio avviso di una posizione molto pericolosa, seppure espressa e inquadrata con toni apparentemente istituzionali.
In tale visione la giurisdizione è la prosecuzione della prevenzione con altri mezzi, si riduce a strumento del potere politico nella lotta (legittima) al terrorismo.

Ma il processo penale è uno strumento delicato è regolato proprio per evitare che il singolo individuo divento strumento di abusi del potere: le libertà individuali sono sacre nel nostro sistema giuridico (per fortuna) e quindi esse non possono essere sacrificate per mandare messaggi politici o per non indebolire questo o quella lotta dichiarata.
Questa difesa dei diritti del singolo davanti allo Stato è una delle grandi prerogative che ci deve differenziare dai terroristi e dalla loro (in)giustizia brutale e assoluta. 

I processi non si fanno col senno di poi ma con quello che si è provato dentro al processo e secondo le regole del processo.
Mi spiego meglio: è ben possibile che successivamente un soggetto si dimostri effettivamente responsabile di un certo delitto, ma questo nulla ci dice sulla correttezza o meno di un provvedimento precedente che lo aveva assolto o che non aveva applicato le misure cautelari. Solo conoscendo le carte si potrebbe verificare se anche in quel primo momento c'erano gli elementi sufficienti per fare quello che deve rappresentare un'eccezione assoluta nel sistema, ovvero la limitazione di libertà personale a carico di un soggetto ancora non condannato definitivamente.

Certamente ci possono essere delle decisioni criticabili, ma si discuta del merito e non si diffonda sfiducia in modo qualunquistico, scaricando sulla giurisdizione responsabilità che spesso stanno altrove.

Suggerisco un film a Panebianco: "Nel nome del padre", ovvero la storia di una clamorosa ingiustizia giudiziaria perpetrata nel nome della lotta al terrorismo.
Il protagonista di questa storia ispirata a fatti veri dice ad un certo punto che l'inferno è stare in prigione da innocenti (nella foto una scena degli "interrogatori" del sospettato interpretato da Daniel Day Lewis).

Non si combatte il terrorismo piegando all'opportunità politica la funzione giurisdizionale, ma semmai dando risorse a polizia giudiziaria e magistratura perché raccolgano con tempestività e professionalità tutte le prove per dimostrare la colpevolezza degli effettivi responsabili. Non chiedendo che li arrestino e condannino anche quando mancano i presupposti di legge!

L'individuo, anche il più sospetto e sgradito, non può mai essere usato per mandare messaggi comodi alla politica o populisti verso la cittadinanza e il giudice è un baluardo di questo limite al potere sovrano.

mercoledì 21 ottobre 2015

LA CREDIBILITA' DELLA MAGISTRATURA

In queste settimane stanno emergendo sempre più dettagli inquietanti di un grave scandalo che ha coinvolto dei magistrati del Tribunale di Palermo: Beni confiscati, lo scandalo del Tribunale di Palermo (articolo da La Repubblica) .

La vicenda è gravissima e va seguita, sollecitando tutte le azioni tempestive che il CSM può e deve intraprendere... ma ancor di più dovrebbe diventare l'occasione per fare una riflessione complessiva sul modo autoreferenziale e arbitrario con cui troppo spesso noi magistrati gestiamo le nostre scelte organizzative e in particolare l'affidamento degli incarichi a terzi (avvocati, commercialistici, consulenti vari).

Le misure di prevenzione e le procedure concorsuali sono forse i settori più delicati (per le somme che muovono e gli interessi che toccano), ma più in generale il tema delle consulenze è affrontato in modo talvolta amatoriale ed opaco anche quando dietro non si celano accordi illeciti e interessi inconfessabili.

Dovremmo pretendere e offrire la massima trasparenza in tutti quei casi in cui siamo chiamati ad affidare incarichi, soprattutto per quelli più remunerativi o di maggiore "peso specifico".... e questo proprio a tutela della nostra funzione e della credibilità di quello che facciamo, .

La mancanza di criteri trasparenti e di rotazione nella gestione delle consulenze alimenta dietrologie e millantati crediti, mina  la fiducia verso l'autorità giudiziaria e inoltre impedisce una sana alternanza e concorrenza tra i vari liberi professionisti cui ci rivolgiamo, impedendo tra l'altro l'emersione di nuovi giovani capaci e fuori dai circuiti del potere.
Sappiamo bene che in certe situazioni è assolutamente necessario ed inevitabile scegliere qualcuno conosciuto e di assoluta fiducia, ma questo non esclude il fatto di poter individuare criteri di rotazione e motivazioni trasparenti nella stragrande maggioranza dei casi, vigilando in ogni caso sulle eccezioni.

Il singolo ufficio, specie se medio piccolo e con ruoli pesanti, può fare fatica a trovare soluzioni...ma questo potrebbe proprio essere uno dei settori in cui il Consiglio Superiore della Magistratura (nostro organo di autogoverno) promuove e diffonde prassi virtuose e trasparenti, pretendendo dai direttivi e dagli aspiranti tali di fornire su questi temi delle soluzioni specifiche e concrete.

Un approccio preventivo, professionale e trasparente non solo restituirebbe fiducia e prestigio, ma diventerebbe il primo argine all'infiltrarsi di fenomeni di corruzione.

giovedì 8 ottobre 2015

La VIOLENZA contro le DONNE: trovare GIUSTIZIA è POSSIBILE!

L'ennesima drammatica vicenda di violenza contro una donna (e contro le donne...) ci colpisce nello stomaco e rischia di insinuare sfiducia e scoraggiamento... soprattutto nei pensieri delle tante vittime in silenzio, che temono di non poter denunciare, di non poter avere aiuto, di non poter trovare giustizia.

Nel mio lavoro di pubblico ministero mi sono occupato e mi occupo di centinaia di vicende che hanno visto vittima una donna: maltrattamenti in famiglia (572 cp), atti persecutori (stalking 612 bis cp), abusi sessuali... una miriade di dolorose storie personali nelle quali purtroppo dobbiamo osservare come sia ancora diffusa una concezione della donna come oggetto di dominio e possesso.

Per questo la violenza contro una donna spesso è manifestazione di violenza contro le donne.

Ogni storia diversa e unica... eppure troppe storie tra loro simili

- un maschio (chiamarlo uomo mi sembra francamente troppo) che non accetta la libertà della propria compagna o dell'oggetto comunque dei suoi desideri (e della sua rabbia)
- una donna che vive nel timore di non potersi difendere e di non avere alternative o vie di uscita
- un contesto sociale che talvolta ignora o sottovaluta i segnali della violenza che sta maturando e che prende forma
Purtroppo ho anche spesso osservato come la prima figura a lasciare indifesa la donna sia la vittima stessa che, per timore o malintese eredità culturali, lentamente inizia ad accettare e a ritenere ammissibili e perdonabili comportamenti violenti e prepotenti (ricordo che in sicilia la figlia di una donna oggetto di violente aggressioni da parte del marito mi disse che tutto sommato si trattava di cose normali e che immaginava che anche a me sarebbe capitato di alzare le mani qualche volta...). 
Ciò è tanto vero che di frequente vediamo querele ritirate a distanza di tempo, con l'effetto di depotenziare moltissimo la nostra possibilità di perseguire le condotte illecite. Talvolta le rimessioni di querela sono frutto di autentici percorsi di ricongiungimento e di assunzione di responsabilità, ma altre volte si tratta di illusorie tregue figlie solo dei timori per le conseguenze penali o del disperato tentativo di salvare il rapporto.

Di fronte a queste vicende però noi riusciamo a intervenire e ancora di più è quello che potremmo fare se crescesse una diffusa consapevolezza e sensibilità del problema.


Anzitutto per questi delitti il sistema penale offre strumenti utili e nella mia esperienza personale molte volte l'intervento di una misura cautelare (quali il divieto di avvicinamento alla persona offesa o l'obbligo di allontanamento dalla casa famigliare) ha efficacemente interrotto le condotte e messo in sicurezza le vittime... spesso in maniera definitiva!


Questo è il primo messaggio che vorrei mandare: nella stra-grande maggioranza dei casi (facendo tutti il nostro dovere... magistrato, polizia giudiziaria, difensori... e vittima capace di denunciare) lo Stato riesce a farsi presente e dare giustizia, dando tutela concreta.

Nulla si toglie alla sofferenza pregressa, ma l'affermazione giudiziaria della responsabilità può davvero essere il primo passo per un nuovo percorso per la vittima. E, si spera, anche per l'aggressore (a ciò sono volti per esempio i centri anti violenza per gli uomini che vogliono riconoscere e superare questo grave problema).
Grazie a recenti positive riforme, oggi le vittime di questi reati hanno comunque diritto al gratuito patrocinio e vi sono molte strutture di supporto: quindi denunciare si deve e si può!

Oltre a questo è evidente che si debba lavorare e molto sulla prevenzione: spiegando il fenomeno, sensibilizzando tutti e soprattutto affermando il valore e la dignità della donna nella società e nella famiglia.

Cominciamo dai nostri figli e dalle nostre figlie, raccontando e mostrando loro come non possa essere giustificabile alcun tipo di subalternità della donna... e poi proseguiamo sostenendo il lavoro femminile, in Italia ancora molto penalizzato (per ruoli, stipendi e supporti alla maternità).

Non basta scandalizzarci per l'ennesima storia di cronaca nera, lasciando magari che sia solo un'occasione di giornalismo morboso: occorre che ciascuno senta questa offesa alla donna e alle donne come un'offesa inaccettabile a tutti noi.

Occorre che i maschi diventino uomini.

venerdì 11 settembre 2015

non solo ANTIDOTI: abbiamo bisogno di ORIZZONTI

La legalità non conviene.
Mi spiace deludervi o sfatare un mito, ma occorre dirselo ed essere preparati.
Il rispetto delle regole è spesso e innanzitutto una limitazione, un argine.
Siamo viziati e troppo abituati a pensare alla legalità solo in termini di diritti e di vantaggi che ne deriverebbero.
In questo siamo tutti molto bravi a rivendicarli e pretenderli.
Ma la misura della nostra onestà l'abbiamo solo quando sappiamo rinunciare a un vantaggio per rispettare una regola.
Quella regola ci limita ma non lo fa per una repressione fine a se stessa, ma al fine di preservare e garantire un interesse collettivo.
Il mio limite diviene il diritto di un altro.
Se capiamo questo possiamo diventare capaci di rispettare le regole anche quando queste non ci convengono.

Perchè dovrei pretendere la fattura se farlo mi determina solo uno svantaggio?
Perchè quel "sacrificio" è correlato all'interesse collettivo che tutti paghino le tasse, quelle stesse tasse che devono sostenere il costo di scuole e ospedali per tutti.

Quello che sembra il comportamento di un fesso, ovvero rispettare la regola, limitarsi... è in realtà la scelta saggia e consapevole di chi capisce che le regole esistono proprio per garantire l'uguaglianza dei cittadini e tutelare i diritti di tutti, non solo i miei e non solo quando la cosa mi conviene.

Spesso parliamo di antidoti alla mafia e tra questi ci mettiamo la cultura della legalità.
Verissimo, ma questa cultura non potrà bastare se nel momento delle nostre scelte decisive non avremo la consapevolezza e la forza di scegliere quale orizzonte inseguire.
Se il nostro riferimento sono esclusivamente i nostri diritti ovvero il nostro benessere, difficilmente avremo la capacità di resistere alla tentazione di aggirare la regola e di "piegarla" a nostro piacimento.
Se invece avremo recuperato i valori e i principi costituzionali ed il senso di appartenenza ad un destino condiviso, in cui la mia libertà e la mia felicità sono strettamente connesse a quelle degli altri, allora avremo creato davvero la premessa perchè ciascuno sappia resistere alla tentazione della scorciatoia, della furbizia...
Resistere alla tentazioni di non chiedere la fattura, di non sfruttare una raccomandazione impropria, di non approfittare di una posizione di vantaggio indebito... questo ci dirà se e quanto siamo veramente onesti e crediamo che valga la pena stare dalla parte della legalità.

Quando ci saremo trasformati da massa di (presunti) furbi a popolo solidale e consapevole...allora avremo fatto la più grande rivoluzione di questo Paese, che ha vitale bisogno di liberarsi dalla logica dei favori per riaffermare un sistema di diritti e soprattutto di DOVERI.

Qual è l'orizzonte che vogliamo inseguire: l'affermazione del nostro successo personale o la realizzazione di una società migliore, più giusta, libera e solidale?

giovedì 30 luglio 2015

PREROGATIVE e NON PRIVILEGI: il QUARTO GRADO POLITICO NON ESISTE

Non conosco le carte della vicenda Azzolini (come il 99% delle persone che invece ne parlano) e quindi non intendo dare opinioni da quattro soldi su questo procedimento e sulle accuse rivolte al senatore.
Vorrei però che quanto accaduto fosse l'occasione per chiarire i termini della questione e quale significato abbia (o dovrebbe avere) l'autorizzazione a procedere agli arresti di un parlamentare (come stabilita dall'articolo 68 Costituzione).

Prima di Mani Pulite vi era l'autorizzazione a procedere: ovvero la Camera di appartenenza di un parlamentare imputato doveva concedere il suo nulla osta anche semplicemente all'avvio del processo.
L'utilizzo che venne fatto di questo istituto fu scandalosamente a protezione della classe politica (l'autorizzazione era divenuta una sporadica eccezione e questo si risolveva in una generalizzata licenza a delinquere) e sull'onda dell'indignazione (ed anche di un certo giustizialismo populista di piazza...) l'articolo 68 venne modificato e oggi resiste solo un'immunità parziale e relativa ai soli atti limitativi della libertà personale del parlamentare: perquisizioni, intercettazioni e arresti.

E' un punto di equilibrio legittimo in astratto, considerato che ogni democrazia prevede dei filtri nel rapporto tra giudiziario e gli altri poteri, cercando di affermare il principio di legalità ma anche di evitare scontri frontali.

Proprio per questo l'unico vero vaglio richiesto alle Camere nel voto è se vi sia il c.d. fumus persecutionis, ovvero se emerga un quadro accusatorio non basato sui fatti ma mosso da intenti di persecuzione personale e soprattutto politica.
Si tratta di un'eventualità ovviamente eccezionale e se verificata rappresenterebbe un grave j'accuse rispetto a pubblico ministero e gip (e talvolta anche giudici del riesame e della Cassazione) che hanno richiesto e concesso una misura cautelare a carico del parlamentare.

Il voto a cui assistiamo ogni volta invece diventa tutto politico, una scelta della casta di salvare questo o di sacrificare quello... Oppure, cosa ancora più aberrante se possibile, ci tocca sentire dei politici (oggi mi è capitato su sky tg24) dire che dovevano esaminare le esigenze cautelari e quindi in qualche modo hanno ritenuto che questo non fossero sussistenti.
No, questo no...
Le esigenze cautelari sono le condizioni che, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, consentono all'autorità giudiziaria di anticipare una limitazione di libertà dell'indagato prima che ne sia accertata la colpevolezza in modo definitivo.
Sono tre rischi eccezionali che vengono in rilievo (naturalmente solo se abbiamo a che fare con ipotesi di reato gravi):

  • rischio di inquinamento probatorio
  • rischio attuale di fuga 
  • rischio di reiterazione del reato

Ma queste sono valutazioni tutte demandate al potere giudiziario.
Non esiste un quarto grado politico che deve vagliare autonomamente questi requisiti giuridici, che valgono appunto per tutti i cittadini.
La legge è uguale anche per loro e la applicano i magistrati.

Si dovrebbe negare l'autorizzazione, lo ribadisco, solo in presenza di una sospetta persecuzione personale\politica.

E' grave che la politica faccia un (ab)uso maldestro di questo istituto costituzionale perché così facendo si semina sfiducia o nella politica o nella magistratura e si crea una frattura dell'ordinamento.

Non sono cavilli... sono in gioco gli equilibri tra i poteri e l'affermazione del principio di legalità.

I parlamentari non sono al di sopra della legge o in posizione privilegiata. Hanno delle legittime prerogative di interesse pubbliche che però non vanno strumentalizzate per garantire privilegi.

Ciascuno si prenda le proprie responsabilità.
La magistratura lo fa con le motivazioni.
La politica lo faccia con un voto trasparente.
I cittadini lo facciano con un'informazione attenta e una critica inflessibile.

martedì 21 luglio 2015

LA DIFFERENZA

Mi sento molto inadeguato di fronte all'incessante e immensa domanda di giustizia che si affolla sulla mia scrivania (oltre che dentro a testa e cuore...).
Come e quando riuscirò a riaffermare la legalità? E fino a che punto?
E quante storie di sofferenza e ingiustizia restano irreparabili attorno a noi?
La maggior parte delle ferite non possono essere rimarginate dal diritto, anche se il processo svolge un ruolo fondamentale per restituire dignità alla persona offesa e far prendere consapevolezza a colui che ha spezzato il patto sociale. 

E' il mio lavoro, il lavoro che amo e che mi appassiona. 

Ma è anche il mio modo per provare a cambiare le cose, per rendere meno distante l'isola che non c'è della solidarietà, della dignità e della libertà.

Leggendo "Ciò che inferno non è" (di Alessandro D'Avenia, ed. Einaudi, che ruota attorno alla figura di Don Puglisi) ho scoperto questa piccola favola che voglio condividere perché può aiutarci a ricordare che anche quando le difficoltà sembrano insormontabili e i nostri sforzi paiono inutili... noi possiamo fare la differenza.




"Un uomo d’affari in vacanza stava camminando lungo una spiaggia quando vide un ragazzino. 
Lungo la riva c’erano molte stelle di mare che erano state portate lì dalle onde e sarebbero certamente morte prima del ritorno dell’alta marea.
Il ragazzo camminava lentamente lungo la spiaggia e ogni tanto si abbassava per prendere e rigettare nell’oceano una stella marina.
L’uomo d’affari, sperando d’impartire al ragazzo una lezione di buon senso, si avvicinò a lui e disse, “Ho osservato ciò che fai, figliolo. Tu hai un buon cuore, e so che hai buone intenzioni, ma ti rendi conto di quante spiagge ci sono qui intorno e di quante stelle di mare muoiono su ogni riva ogni giorno? Certamente, un ragazzo tanto laborioso e generoso come te potrebbe trovare qualcosa di meglio da fare con il suo tempo. Pensi veramente che ciò che stai facendo riuscirà a fare la differenza?
Il ragazzo alzò gli occhi verso quell'uomo, e poi li posò su una stella di mare che si trovava ai suoi piedi. Raccolse la stella marina, e mentre la rigettava gentilmente nell’oceano, disse: 
Fa la differenza per questa.”"

venerdì 17 luglio 2015

Le isole del tesoro e l'isola (della legalità) che non c'è

Edoardo Bennato cercava l'isola che non c'è , luogo utopico e intimo di giustizia e pace, di fantasia e solidarietà...
Il giornalista Nicholas Shaxson si è invece messo in cerca delle isole del tesoro, scrivendo il diario di un viaggio nei paradisi fiscali dove è nascosto il tesoro della globalizzazione.

Faccio un passo indietro e vado al 1998. In quell'anno mi sono laureato con una tesi sul riciclaggio di denaro negli Stati Uniti (il c.d. money laundering) e sognavo di lavorare  e impegnarmi per fermare quel flusso di denaro che da sporco veniva ripulito per poi consentire alla grande criminalità organizzata di godere dei frutti dei propri delitti e del proprio potere perverso...

Sono passato molti anni e solo di recente comincio a veder crescere competenze, sensibilità e indagini su questo tema cruciale, che tuttavia non è più tanto e soltanto quello del denaro sporco che viene ripulito, ma soprattutto (per dirla con le parole del Procuratore Aggiunto di Milano Greco) del denaro pulito che diventa sporco e sparisce.
E' il tema dell'elusione fiscale (quando non direttamente frode) e per comprenderlo dobbiamo metterci in viaggio verso isole esotiche... e non solo.

Già, perché i paradisi fiscali non sono soltanto sperdute isole nel Pacifico, ma si nascondono nel cuore dell'Europa (Lussemburgo, Andorra e per molti aspetti la stessa Irlanda e il Regno Unito) e degli Stati Uniti (clamoroso il caso dello stato del Delaware).


In questo mondo sotterraneo e insospettabile svaniscono i profitti immensi delle più grandi multinazionali e delle famiglie più ricche del pianeta, che (sappiatelo) spesso pagano meno tasse di tutti noi comuni cittadini.


Il paradiso fiscale è un luogo che garantisce una tassazione bassissima e una grande libertà di manovra dal punto di vista societario, offrendo così risparmi immensi e riservatezza.


Secondo la stima più prudente in queste isole del tesoro sono custoditi 7600 miliardi di dollari, ovvero un dodicesimo della ricchezza finanziaria mondiale delle famiglie.

Secondo le stime più alte (fatte dall'ex direttore per la ricerca economica di McKinsey) si parla di 32mila miliardi di dollari, ovvero sino ad un terzo della ricchezza complessiva...

La tassazione è il momento fondamentale di contribuzione alle spese dello Stato e di redistribuzione della ricchezza: l'elusione massiccia di questo sistema è un grande ostacolo allo sviluppo di ogni Paese e dei suoi cittadini e rappresenta il tradimento di una premessa essenziale per la vita di una nazione.

La strada della democrazia e della libertà non si può percorrere se il potere economico e finanziario resta fuori controllo e sfugge alle regole che si applicano ai comuni mortali.

E' ovvio che questo può avvenire solo con la complicità e l'interesse anche delle istituzioni occidentali e di un potere politico quanto meno miope e incapace di dare una regolazione complessiva e trasparente a questo sistema.

Le scappatoie fiscali restano a disposizione di pochi privilegiati che così custodiscono la loro ricchezza e perpetuano la posizione di vantaggio rispetto a ogni cittadino.

Un sistema veramente liberale non dovrebbe consentire simili privilegi, dovendosi garantire pari opportunità iniziali e volendosi affermare eguali doveri per ogni soggetto, così da far emergere il merito in una logica di sana concorrenza. Anzi, la Costituzione italiana giustamente afferma il principio della progressività che richiederebbe appunto che chi ha di più debba anche contribuire maggiormente e viceversa... 

Ebbene, i paradisi fiscali consentono l'esatto contrario: chi ha di più riesce a dare di meno o addirittura a scomparire del tutto dai radar e lasciando paradossalmente anche le grandi nazioni con enormi debiti pubblici e scarsità di risorse per i cittadini.

Le risorse non sono sempre scarse... c'è abbondanza: il problema è valorizzare queste ricchezze (materiali, finanziarie e non solo), usarle e far contribuire tutti alla crescita collettiva, senza consentire i privilegi di pochi.

I privilegi di pochi sono stati alla base di ogni rivoluzione e ribellione, che hanno di volta in volta allargato la platea dei cittadini e ampliato la sfera dei diritti e dei doveri.

Capiamo bene che questa è una questione squisitamente politica e il problema però che non abbiamo un luogo di governo internazionale di questi temi: la sfida globale viene così lasciata a un potere politico frammentato e così anche deresponsabilizzato davanti ai cittadini.


Deve crescere la consapevolezza di questa enorme ingiustizia perché la soluzione può arrivare soltanto da una vasta pressione dell'opinione pubblica.


La conoscenza e la consapevolezza sono il primo gradino per recuperare dignità, legalità e diritti fondamentali... ovvero per metterci in cammino verso l'isola che non c'è.


sabato 20 giugno 2015

La lezione dei ragazzi di Scampia

In una scuola di Scampia un insegnate (cui va ammirazione, stima e gratitudine...) ha tradotto con i suoi ragazzi la prima parte della Costituzione in napoletano.
Ne hanno ricavato delle brevi frase stampate su magliette bianca.

Ogni commento è superfluo... 
La lettura invece è indispensabile.



Art.1 E' o popolo ca cummann 
(Sovranita' del popolo)
Art.2 Tenimm' diritt ca nisciun ce po tucca' 
e duver c'amma rispetta' 
(Inviolabilita' dei diritti)
Art.3 Simme tutt' ugual' annanz' a legg" 
(Principio di uguaglianza)
Art.4 Tutt quant amma fatica' pe ffa' crescer a societa'
(Diritto al  lavoro)
Art.5 L' Italia e' una sola
e nun se po sparter ma ce stann region, province e cumun 
(Autonomie locali)
Art.6 Pur se parl n'ata lingua va ben o' stess 
(Minoranze linguistiche)
Art.7 O' Stat e a Chies s'anna fa ciascun e fatt lor 
(Principio di laicita' dello Stato)
Art.8 Nisciun te rice nient
se si cristian, buddist', testimon e geov o evangelist 
(Liberta' di culto)
Art.9 O' patrimonio storico, o' paesagg,
a cultur e ricerc s'anna rispetta' e tutela'  
(Tutela del patrimonio storico, artistico e della ricerca)
Art.10 O' stranier s'adda tutela' se rint o' paes suoje
nun ten a liberta' (Tutela dello straniero)
Art.11 A guerr' nun se po ffa' si n'at Stat vuo' attacca' 
(Ripudio alla guerra)
Art.12 O' tricolor e' verd, bianc e russ 
(La bandiera italiana)
Art.21 Putimm ricere chell ca pensamm 
(Libertà di manifestazione del pensiero)
Art.29 Marit e muglier stess diritt e duver
(Uguaglianza dei coniugi)
Art.32 Pe ce curà nun pe forz s'addà pavà 
(Diritto alla salute)
Art.34 A scol nun s'adda pavà 
(Gratuità dell'istruzione)
Art.40 O' scioper se po ffà 
(Diritto allo sciopero)
Art.48 O'vot è personal, ugual, liber e segret  (Diritto al voto)

giovedì 4 giugno 2015

Impresentabili o invotabili? Quando l'etica è delegata alla legge

La vicenda dei candidati impresentabili è una triste e grottesca occasione per riflettere sul grave malessere della nostra democrazia e dell'etica nella vita pubblica e politica.

Prima di tutto ribadisco un pensiero che espressi anche quando la Legge Severino fu emanata (legge 190/2012 e poi soprattutto Dlgs 235/2012 che stabilisce incompatibilità, decadenze e sospensioni per i condannati in via non definitiva dalle cariche pubbliche cui siano stati eletti): un Paese che avesse un sufficiente tasso di rispetto della legalità e di senso delle istituzioni non avrebbe bisogno di simili norme, perché le forze politiche e gli elettori allontanerebbero automaticamente coloro che non appaiono cristallini e credibili da questo punto di vista.

D'altronde ci sarebbe già il dimenticato articolo 54 della Costituzione
"Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore [...]"

Evidentemente il tasso di illegalità e di tolleranza verso questo si è invece mantenuto molto elevato e si quindi arrivati a disciplinare nel dettaglio i casi in cui non si è candidabili (ovvero si decade o si è sospesi per condanne non definitive).

A questo quadro (già sintomatico di una patologia del sistema) si è aggiunto un codice etico di autoregolamentazione cui potevano aderire i partiti e sul quale doveva vigilare la Commissione Antimafia. 
L'articolo 1 di tale codice impegna i partiti che vi aderiscono a non presentare e nemmeno sostenere come candidati coloro nei cui confronti sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio ovvero che siano stati condannati con sentenza anche non definitiva di primo grado [...] allorquando si tratti di una serie specifica di reati gravi o contro la Pubblica Amministrazione.
Questa volta quindi l'asticella si alza perché può bastare anche solo l'esercizio dell'azione penale: d'altronde lo spirito di ogni codice etico è quello di sollecitare trasparenza e condotte irreprensibili nonché di tutelare anche l'apparenza stessa delle istituzioni, che non devono essere macchiate nemmeno da sospetti.

Si può discutere se siano requisiti eccessivamente rigidi, ma due punti devono essere tenuti ben presenti:
- l'Italia è il paese occidentale con il più alto tasso di corruzione e in generale di criminalità del potere (vedi mafia) e quindi è del tutto evidente che vi siano esigenze di recuperare credibilità da parte della politica 
- non si può aderire liberamente a delle regole e poi decidere che non si applicano a questo o a quello, introducendo così eccezioni legate alla persona, secondo la consuetudine tutta italiana della legge ad o contra personam (a seconda di quel che fa comodo)

Oggi ci troviamo in questo corto circuito tra legalità, politica ed etica nel quale mi pare purtroppo essere finito anche l'eccellente Raffaele Cantone (presidente dell'Autorità Anticorruzione), laddove nell'intervista pubblicata oggi da Repubblica si concentra su aspetti tecnici di applicazione della Severino. 
In questa intervista egli infatti spiega come potrebbe essere formalmente corretto che De Luca debba prima insediarsi e solo dopo potrebbe essere sospeso: come si fa, tuttavia, a non comprendere come tali distinguo non colgano assolutamente l'esigenza di chiarezza e coerenza che viene dall'articolo 54, dalla legge Severino, dal codice etico e soprattutto dai cittadini sfiduciati dalla corruzione???

Il caso specifico verrà discusso e valutato dalle autorità competenti, ma mi pare evidente che vicende come questa siano destinate ad allargare ulteriormente il fossato che separa il popolo (sovrano?) e la politica... pur non dimenticando che queste vicende vengono al pettine proprio perché i c.d. impresentabili non sono considerati invotabili dagli elettori, che anzi spesso li premiano e li sostengono.

Quello che preoccupa, infine, è che possa passare il messaggio per cui democrazia e legalità siano potenzialmente in conflitto.. il che non deve essere e non è, perché la legalità è semplicemente un presupposto per potersi impegnare in politica.
L'onestà e la massima trasparenza sono pre-condizoni per assumere responsabilità pubbliche e non cavilli legali o etici che frenano la libera espressione popolare.

La strada verso la legalità e una piena affermazione dell'articolo 54 della Costituzione è ancora molta lunga e in questo percorso le scorciatoie possono solo allontanare dalla meta...

martedì 26 maggio 2015

UNA RONDINE IN TRIBUNALE

Con il consenso della collega Elisabetta Morosini, magistrato del Tribunale di Pesaro, condivido qui il suo bellissimo racconto. 
Sarebbe piaciuto molto a Marcovaldo...


È una storia accaduta poco fa in Tribunale, nel Tribunale di Pesaro.
Il Palazzo di Giustizia è un palazzo molto bello, soprattutto all’interno, costruito su progetto dell’architetto Carlo De Carlo.
Colori caldi, vetrate ampie anche sul tetto da cui entra la luce del sole, un giardino interno verde verde, un altro giardino, esterno, pensile.
Oggi, nel primo pomeriggio, improvvisamente, è spuntata una rondine, più precisamente un rondone, che volava dentro il Tribunale.
Volava, volava, senza stancarsi mai.
Eravamo pochi nel palazzo di Giustizia, nessuno riusciva a portare avanti il suo lavoro.
Quel volo ci attirava, ci ipnotizzava. Stavamo lì, con la faccia all’insù a osservare il rondone che volava, volava, dopo un’ora, dopo due ore.
Abbiamo aperto tutto il possibile, purtroppo ci sono tante vetrate, ma pochissime finestre, ragioni di sicurezza. Le finestre sono negli uffici e il rondone non ne voleva sapere di passare sotto una porta.
I vigili del fuoco non arrivavano, solo dopo diverso tempo abbiamo scoperto che erano dovuti intervenire altrove per una grossa frana in atto.
Ci viene detto che per prenderlo bisogna farlo stancare, aspettare che sia indebolito dalla fame e dalla sete, ci vorranno almeno 24 ore. Questo era un grosso problema, sia per me, che non potevo pensare di affamare e assetare un animale, sia per la sicurezza che non avrebbe potuto inserire l’allarme in Tribunale.
Finalmente l’idea che si è rivelata vincente.
Chiamo Mauro, un ispettore della Forestale in pensione, un grande uomo con un grande cuore, sempre disponibile ad ascoltarmi quando devo risolvere problemi con gli animali.
L’ispettore mi mette in contatto con il Cras della Provincia di Pesaro e Urbino – centro recupero animali selvatici.
Arrivano subito due uomini del centro: Roberto e un suo giovane collega (che chiamerò Andrea).
Danno uno sguardo al posto, sono un po’ perplessi: il rondone vola in alto, al centro del palazzo, è difficile prenderlo.
Comunque non si danno per vinti, prendono un grosso retino, salgono al terzo piano e provano a intrappolare l’estraneo.
Il rondone non ha intenzione di farsi beccare, è furbo, evita la rete, compiendo agili evoluzioni.
Ad un certo punto Roberto si pone sopra una passerella, che conduce al 4° piano, il piano sospeso al centro del palazzo, quello dove c’è la biblioteca.
Il rondone passa proprio di lì, trattengo il fiato, non guardo.
Roberto lo prende al volo, stando attento a farlo cadere sul pavimento vicino a lui e non di sotto.
Poi lo estrae dalla rete e lo prende in mano, me lo fa vedere: è così bello e anche tanto spaventato; il cuore gli batte fortissimo, quasi volesse uscirgli dal petto.
Con un po’ di apprensione domando a Andrea: 

“Adesso che cosa gli fate?”
Il ragazzo allarga il viso in un sorriso e mi risponde: “dottoressa, cosa vuole che facciamo? Lo liberiamo!”
Ho chiesto: “Gli posso dare un nome?”.
Oggi è il 23 maggio, 23 anni fa alle ore 17,58, a Capaci, la strada si è aperta e ha inghiottito la vita di Giovanni. Con lui sono morti Francesca, Antonio, Rocco e Vito.
Oggi c’era un rondone a Pesaro, in Tribunale. Io lo guardavo e sapevo già che nome dargli. Sono le 17,58 e quel rondone sta volando libero nel cielo, insieme ai suoi amici.

sabato 23 maggio 2015

Ecoreati e corruzione: tra passi avanti, slogan e occasioni mancate

Nel giro di pochi giorni il Parlamento (e non il Governo...) ha approvato in via definitiva due importanti interventi legislativinuovi delitti contro l'ambiente e l'ennesima riforma anticorruzione (dopo la legge 190 del 2012).

Si sono allora scatenati i due partiti del Paese: i tifosi della propaganda e quelli che si lamentano sempre e comunque, un po' per diffidenza, un po' per l'esperienza del passato e un po' perché lamentarci ci consente di salire in cattedra e sentirci migliori degli altri.

Non pretendo qui di commentare in modo esaustivo queste nuove leggi, della cui efficacia sarà giudice soltanto il tempo. 

Però una riflessione è giusto farla, tanto più nel giorno in cui tutti diciamo di ricordare Giovanni Falcone. Intendiamoci: non so cosa ne penserebbe Falcone e non voglio estrapolare una sua frase per portare acqua a questo o quel mulino, come molti si sono divertiti a fare. Una cosa di Falcone però la sappiamo: è stato un uomo delle istituzioni, che pur conoscendo quanta corruzione e illegalità si annidiasse nello Stato, non ha mai smesso di credere nella Costituzione e nella legalità, tanto da esporsi alla scelta di andare al Ministero con Martelli nella convinzione di poter combattere la mafia proprio lavorando nei palazzi del potere e non rassegnandosi mai.



Cominciamo dai nuovi delitti contro l'ambiente, richiesti da decenni a gran voce per tutelare uno dei beni più fondamentali e più a rischio nel nostro Paese. 
Il disegno di legge introduce numerose nuove incriminazioni, tra le quali :
- il delitto di inquinamento ambientale che punisce con la reclusione da due a sei anni "chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: a) delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; b) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna";
- il delitto di morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale che introduce un'ipotesi speciale di lesioni colpose e omicidio colposo quale conseguenza della condotta di inquinamento ambientale;
- il delitto di disastro ambientale che punisce con la reclusione da cinque a quindici anni chiunque "abusivamente cagiona un disastro ambientale".
La perplessità principale riguarda proprio quest'ultima figura delittuosa, approvata anche sull'onda dell'indignazione per la sentenza che ha dichiarato prescritti i reati contestati all'Eternit e lasciando così per ora senza giustizia i morti di Casale Monferrato e non solo...). 
Le critiche si concentrano su quell'avverbio: ABUSIVAMENTE. 
Come ho già avuto modo di spiegare (disastro legalizzato) il rischio è quello che di restare inermi ed impotenti di fronte ai disastri ambientali commessi "a regola d'arte", ovvero nel formale rispetto delle regole e delle autorizzazioni pur nella consapevolezza di cagionare gravissimi danni. Normalmente questo non dovrebbe essere un rischio effettivo, ma l'Italia è un luogo dove è accaduto che regole (e a volte anche leggi...) fossero cucite su misura della cricca. A volte con la scusa della necessità di dare lavoro, a volte senza nemmeno quell'alibi. 
Ben vengano questi nuovi delitti, ma non aver tolto quel benedetto avverbio rischia di una essere una piccola crepa che mette a rischio l'intera diga eretta contro l'inquinamento.


Veniamo all'ennesima riforma anticorruzione (ormai si contano tante leggi anticorruzione quante sono state le inaugurazioni della Salerno Reggio Calabria... però la corruzione in Italia sembra ancora non essersene accorta, così come gli automobilisti di quel tratto).
Il provvedimento anzitutto aumenta le pene previste per alcuni reati contro la pubblica amministrazione; per la corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio si prevede la pena della reclusione da 6 a 10 anni (oggi da 4 a 8 anni); per la corruzione in atti giudiziari reclusione da 6 a 12 anni (oggi da 4 a 10 anni), per l'induzione indebita a dare o promettere utilità reclusione da 6 a 10 anni e 6 mesi (oggi da 3 a 8 anni).
Il provvedimento introduce poi una nuova circostanza attenuante per la collaborazione processuale che consente una diminuzione della pena per colui che, responsabile di specifici delitti contro la pubblica amministrazione "si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili [...]".
Inoltre viene subordinato l'accesso alla sospensione condizionale della pena "al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato [...]" e il patteggiamento sarà possibile solo in caso di restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.
Vengono poi significativamente inasprite le pene per l'associazione di tipo mafioso di cui all'art. 416 bis c.p.: la pena per il partecipe sarà la reclusione da dieci a quindici anni (oggi da sette a dodici); quella per chi promuove, dirige o organizza l'associazione sarà la reclusione da dodici a diciotto anni (sinora era da nove a quattordici anni).
Torna ad essere punito come delitto il falso in bilancio, per il quale è prevista la reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni (per le società quotate), mentre vi saranno pene ridotte (da 6 mesi a 3 anni) "se i fatti sono di lieve entità".  

Dal punto di vista strategico le norme più importanti mi sembrano quelle che incentivano la collaborazione e il ripristino di un reato di falso in bilancio seriamente punito. Entrambe queste novità potranno tradursi in una rinnovata capacità della magistratura di scoprire e perseguire fenomeni corruttivi, che tipicamente si avvalgono dell'omertà dei complici e che si nascondono grazie a contabilità false.


Si poteva fare di più? Certo, sempre... ma quello che ancora manca davvero, più che una formulazione diversa di questo o di quel reato, è un processo che renda questi strumenti effettivi.


Nessun nuovo reato può essere uno strumento efficace di prevenzione e repressione se il sistema giustizia nel suo complesso è in gravissima crisi, con tempi irragionevoli, numeri di processi ingestibili, procedure irrazionali, metodi di lavoro antiquati, organici di magistrati inadeguati e personale amministrativo ridotto all'osso...

Non ci serve la Ferrari se poi dobbiamo viaggiare su una strada sterrata piena di buche... così come non riusciamo a essere minacciosi nemmeno con la bomba atomica se poi abbiamo la fionda per lanciarla.


Sono riforme comunque importanti e soprattutto quella sul falso in bilancio risana una ferita aperta da troppo tempo.

Ci impegneremo nel farle rispettare e funzionare... ma Governo e Parlamento devono fare ancora moltissimo in termini di investimenti e riforme per restituire efficienza e credibilità alla giustizia.

C'è poi, e qui mi fermo, il tema della cultura della legalità...

Se non cambiano i valori e i costumi degli italiani e di coloro che hanno responsabilità pubbliche avremo solo fatto un'operazione di propaganda e non di sostanza per la legalità.
...e su questo fronte ogni giorno leggiamo notizie che non lasciano troppo spazio alla fiducia, come dimostra la vicenda dei candidati impresentabili.

Si cambia tutto per non cambiare nulla (Il Gattopardo docet...)?

Dipenderà da ciascuno di noi. 
Diventiamo quel cambiamento. Un rinnovamento vero.

sabato 11 aprile 2015

MORIRE di GIUSTIZIA

Pubblico, con il permesso del collega, questa testimonianza di quanto accaduto nel palazzo di Giustizia di Milano in ricordo del giudice Ciampi, ed in memoria naturalmente anche delle altre vittime: l'avvocato Appiani e Giorgio Erba.

E' una ferita per tutti coloro che lavorano nei palazzi di giustizia e per chi crede nelle istituzioni e nella legalità.
Che queste morti siano per noi occasione di riflessione per moltiplicare il nostro impegno nel fare fino in fondo il dovere a cui siamo chiamati.

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Aveva finito da poco la camera di consiglio mattutina, poche cose, ma come al solito due gatte da pelare, una ordinanza in sede di reclamo e una ricusazione.
Una ricusazione posta da uno dei più noti folli del Tribunale, che tutti ricusa da anni, nei suoi molti giudizi in sede civile e penale; anche io lo giudicai questo fanatico della ricusazione e lo assolsi se non erro dal reato di oltraggio; in effetti anche Fernando che doveva giudicare sulla ricusazione del presidente della sezione 13, era stato in altre occasioni ricusato da questo, il quale voleva in tutti i modi presenziare alla udienza sulla ricusazione, ma non gli è stato consentito, trattandosi di camera di consiglio.
Decisioni prese, presiedeva Fernando, il collegio, non la sezione, perchè dopo otto anni di presidenza di sezione ufficiale - fra cui la mia la ottava civile - era "scaduto" e tornato a fare il giudice semplice, seppure fosse il più anziano; ora si chiedono i colleghi, come depositeremo le ordinanze? Il codice dice come si può fare in caso di impossibilità del presidente, ma non dice con quale cuore.
Anche la ricusazione, diciamocelo, era una presa in giro, una presa in giro che viene da lontano. Ricordo un dibattimento penale con imputati eccellenti in cui venimmo - fra collegio e presidente - ricusati sette volte, da prima che arrivasse il fascicolo dal GIP a poco prima di entrare in camera di consiglio.
Una moda, un malvezzo, irrispettoso della giustizia e di chi la amministra? Non direi, era qualcosa di più, qualcosa che è ha fatto poi scuola. Siamo stati compatti nel combattere o anche solo nello stigmatizzare questo "malvezzo"? Non mi pare, almeno ai tempi e così anche questa persecuzione delle ricusazioni continua.
Comunque Fernando ha sopportato in allegria, anche ieri, parlava del nipote,del sole, scherzava; ha salutato i colleghi che andavano a prendere un caffè, lui non ne beveva ed è andato in stanza, a combattere con il computer. Perchè a 70 anni suonati gli era toccato il telematico; ogni tanto mi fermava perchè gli chiarissi questo o quel punto degli
applicativi: apprendeva poco prima di andare in pensione un modo nuovo di lavorare, tra lo scettico e il divertito.
Talvolta gli davo chiarimenti, era stato mio presidente ai tempi proprio di questa causa che gli è costata la vita, vedevo la sua aria di rimbrotto "cosa mi fai fare proprio a fine carriera!", ma vedevo anche la apertura ai tempi nuovi, come ai tempi del processo societario in cui aveva creduto fermamente, almeno all'inizio. Però stavo lontano dal suo ufficio ormai alcuni piani, ero un po' fuori portata, così chiedeva spesso alla collega Silvia ed anche stamane le aveva chiesto di spiegargli alcune cose sulla consolle.
Silvia sarebbe andata dopo il caffè.
Ma dopo il caffè Fernando era morto; da lui c'era, quando Giardiello gli ha sparato, la Cancelliera, forse per cercare di spiegargli qualcosa sul computer o per vedere i fascicoli. Di certo stava lavorando.
Era morto perchè aveva lavorato, perchè lavorava; se avesse preso il caffè forse sarebbe morto lo stesso al ritorno in stanza, ma forse ci sarebbero stati altri morti. L'assassino fuggendo è èassato davanti all'ufficio di Alessandra, che pure aveva giudicato quelle cause.
Due piani sopra un avvocato era morto poco prima, perchè aveva testimoniato, perchè si offriva alla verità: Lorenzo Claris Appiani.
Morto nella faida orrenda un ex socio e ferito un altro.
Due piani più sopra ancora stavo sentendo una testimonianza: quattro legali, due parti, altri testi fuori dalla porta, una stagista, l'unica che sente gli spari. I primi allarmi vanno per mail e siccome faccio udienza con il computer davanti per verbalizzare, la mail dal titolo "spari in Tribunale" la leggo, esco e mi dicono che la vittima era Fernando, col quale avevo diviso liti e pensieri in camera di consiglio:
il lavoro di decidere i casi giudiziari, la sorte degli uomini, di cercare se possibile la pace, di gettare un ponte fra opposte fazioni.
Si decide di chiuderci dentro, in corridoio c'era ancora qualcuno,
entrano: alla fine siamo in sedici nella stanza, uomini e donne alla ricerca di notizie, chiusi a chiave, poi anche barricati con un tavolo, già che ci siamo. Una teste si sente male, ma non molto per fortuna.
Notizie zero. Mio figlio mi uozzappa e vedo che ne sa più lui che sta ad Edimburgo di me che sono qui chiuso ed isolato.
Internet ci manda notizie, i telefoni del palazzo nulla; qualcuno è stato sfollato fuori e vuole notizie da dentro, ma noi stiamo qui chiusi dentro un microcosmo sicuro.
I ruoli si sciolgono, non più giudice, non più avvocati o testimoni, solo uomini e donne a riflettere sulla morte sul lavoro sulla giustizia e la ingiustizia, per passione, abitudine, non più per lavoro.
Telefonate discrete, mai urlate, molto educate a figli, mariti, mogli, non si sa anche amanti, colleghi di studio: "guarda ritardo .." "ma lo so benissimo che in Tribunale si è sparato"
Il figlio di una donna le dice assolutamente di non uscire, lei lo segue e consulta felice di avere una guida che ritiene affidabile.
I più coraggiosi origliano, fuori è silenzio per parecchio tempo, un'ora forse.
La mail del presidente del Tribunale dice di chiudersi in stanza: già fatto, obbediamo convinti.
Si ricorda Fernando, io cerco di illudermi che non sia morto, poi internet dice che non è così. Cordoglio, cordoglio di uomini e donne, le parti non sono più contrapposte, il ponte è gettato.
Esce il nome del colpevole, mi dice qualcosa, cerco nella fida consolle e lo trovo, ho fatto io la sentenza, che ormai poco interessava dopo il fallimento della società, ma lui aveva insistito a chiedere danni; i soci lo accusavano di aver intascato fondi sociaell prelevati dal "nero"
lui diceva che in realtà si era ripreso soldi che aveva messo prima nella società, chiede danni agli altri. Poi la società è fallita, facile che ne sia nato il processo di bancarotta di cui parla la rete. Io spero di non essere il prossimo della lista, visto che ancora non lo hanno preso, non so se dirlo a chi è con me, non vorrei che la signora che si sente male o quella che si consulta con il figlio si prendessero paura.
Nel frattempo ho segnalato per vie traverse a una eroica funzionaria, che pare coordinare le operazioni, che siamo in 16 e una signora accusa malessere. Non so se sia stata lei, ma dopo poco arriva qualcuno la polizia; poco prima si era saputo che era stato preso nell'hinterland a Vimercate e mi sento scemo per essermi chiuso in stanza per paura di un fuggiasco lontano da tempo.
Usciamo, finisco il verbale rinviando tutto. Arriva l'avvocato della causa dopo, da dove? "Ero chiuso in Cancelleria" e quasi sorride "non faccio mai giudiziale, che fortuna oggi".
Tipo simpatico, dopo quel che abbiamo vissuto il clima è quasi amichevole, mi dice che una possibilità di transazione forse esisterebbe, ma chissà dove si è rifugiato il collega di controparte?
Telefona: era lì vicino ma è andato via, chi potrebbe rimproverarlo?
Alla fine rinvio: ci vediamo fra un mese, senza testi, si cerca un accordo, la causa è per me nuova, il provvedimento istruttorio era di ammissione di tutte le prove genericamente e mi pare da rivedere.
Si torna al lavoro, alla normalità spero di no, spero che sia una normalità diversa, di non perdere il clima di quella stanza, non per la paura - non ne avevamo tanta - ma per il ponte gettato.
Che non sia una normalità di lotta e di spari, veri o metaforici, che i controlli siano controlli. Nella esperienza di molti giudici ci sono liti, aggresisoni avvenute anche nei nostri uffici, ricordiamo Varese, Reggio emilia, ma molt di noi hanno ricevuto visite poco piacevoli di parti irragionevoli.
Questo non deve essere più la normalità.
Al pomeriggio sento il Presidente della Repubblica che dice che non bisogna gettare discredito sulla magistratura e lo strano è che ci sia bisogno di ricordarlo.
Ma è così dal discredito alla aggressione il passo è breve.
Strano perchè in quella stanza nessuno si sognava di farlo; avevo dimenticato quel che è stato nei mesi scorsi, meglio molto meglio dimenticarlo.
Passo davanti alla stanza di Fernando e vedo i sigilli dei Carabinieri, in croce.
E' morto Fernando, mentre faceva il giudice perchè aveva fatto il giudice, bene o male che lo abbia fatto non importa più, era lo Stato quando faceva il giudice e per questo solo già merita rispetto. So che a qualcuno questo rispetto sarà costato, ma è dovuto comunque perchè è dovuto allo Stato, alla cosa comune, alla giustizia che rappresenta. e noi tutti abbiamo il dovere di esigerlo.
E' morto, senza aver del tutto digerito il processo telematico, è morto a pochi mesi dalla pensione che forse non voleva, è morto senza aver preso il caffè e dopo la ennesima ricusazione di chi non capisce cosa è un giudice.
E' morto, ma mi ha regalato la esperienza della stanza divisa in sedici; lo ricorderò sempre, con affetto.
Ciao Fernando


Enrico Consolandi - già giudice della ottava sezione civile del Tribunale di Milano, già presieduta da Fernando Ciampi

giovedì 9 aprile 2015

CAPRI ESPIATORI


Rabbia e dolore di fronte alla follia di quanto accaduto oggi nel palazzo di giustizia (?!) di Milano.

Rabbia e dolore per la vita perduta di persone che svolgevano il loro dovere (di magistrato, di avvocato, di testimone).

Rabbia e dolore perché una simile follia omicida si è potuta perpetuare in un luogo che deve essere simbolo di legalità e sicurezza, anzitutto per chi vi lavora esponendosi ogni giorno: giudici, pm, avvocati, personale amministrativo.

Gli interrogativi sono molti e confidiamo che venga fatta chiarezza su dinamica e responsabilità di quanto accaduto.

Occorre però da subito riflettere su quanto si è seminato negli ultimi decenni, con un dibattito politico che ha delegittimato, accusato, irriso la magistratura, le istituzioni e la giustizia intera. 
Sono state indebolite le fondamenta della convivenza democratica, si è giocato al tanto peggio tanto meglio facendo propaganda e non risolvendo i problemi dei cittadini, la cui frustrazione e il cui isolamento viene sfruttato per raccogliere facili consensi e non per lavorare a soluzioni possibili. 

I magistrati, ma anche gli avvocati in altro modo e tutti gli operatori dei palazzi di giustizia, si sono così trovati soli, capri espiatori esposti in un sistema allo sfascio

La magistratura continuerà a fare il suo dovere, ma spero che da oggi qualcuno in più capisca che la nostra sicurezza e indipendenza non sono privilegi ma requisiti essenziali per fare giurisdizione. Allo stesso tempo bisogna finalmente fare ciò che serve per dare giustizia e per recuperare autorevolezza e fiducia.

Come magistrato, che ogni giorno scontenta decine di persone (molte delle quali sull'orlo di una crisi di nervi, per non dire altro), non sono interessato a ipocrita solidarietà ma nemmeno credo sia il momento di alzare i toni e fare polemiche strumentali.
Dobbiamo restare uniti e comprendere che la solidità delle istituzioni è causa e conseguenza della fiducia che queste devono avere (e meritare).

Chiediamo tutti sicurezza, rispetto, ascolto, serietà e volontà di dialogo. 
Il dovere di ciascuno sarà il mezzo per i diritti di tutti.

Lo chiediamo perché la legalità è il cemento della democrazia e il baluardo della libertà.
Lo chiediamo per tutti coloro che provano ogni giorno a fare il loro dovere nei palazzi di giustizia.

domenica 22 marzo 2015

Chiusura OPG: Sicurezza costruita sulla Fiducia e non sulla Paura

Oltre gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari
 PROSPETTIVE E SFIDE DI UN INCERTO FUTURO PROSSIMO

(introduzione al convegno del 20 marzo 2015)

Oggi siamo qui per evitare che un salto in avanti si trasformi in un passo indietro.
Siamo qui perché crediamo profondamente che la civiltà di un Paese e la cultura giuridica di un ordinamento si misurino anzitutto nel modo in cui sono capaci di occuparsi della sofferenza degli ultimi e degli emarginati, di coloro che sono senza potere e senza volto.

La legalità è potere dei senza potere nella misura in cui sa affermare i suoi principi fondamentali di dignità e responsabilità. Sempre e per tutti.

Così scriveva Paolo Giordano sul Corriere della Sera del 9 marzo:
[…] mentre parlavo con gli internati dell’Ospedale psichiatrico giudiziario  […] ho avuto forte la sensazione che guardassero dentro un abisso che competeva anche a me - che compete a noi tutti -, con la sola differenza che su quel abisso loro si sporgevano pericolosamente, e senza mai riuscire a distoglierne lo sguardo.

Ecco: è più facile dimenticarsi dei detenuti e ignorare la scandalosa esistenza stessa degli internati. Il carcere e soprattutto gli OPG, almeno fino al prossimo 31 marzo, sono stati i luoghi dove rinchiudere le nostre paure, le nostre sofferenze, i nostri sbagli, i nostri abissi…
Ma sono abissi che ci competono.

Anche a  questa consapevolezza - antropologica prima che giuridica - attingono i principi costituzionali di responsabilità penale personale, di finalità rieducativa della pena e di diritto alla salute.
È una consapevolezza oggi particolarmente a rischio, di fronte a una politica che sembra voler inseguire solo gli umori della paura e le esigenze della sicurezza, speculando sulla crisi e la precarietà che ci circondano.

Area crede che la Costituzione ci indichi invece una via differente, che mette al centro la dignità delle persone, una dignità che nessuna malattia può cancellare, nemmeno quella psichiatrica.

Dobbiamo rifiutare le false alternative che certa superficiale e irresponsabile modernità vorrebbe farci accettare come inevitabile dazio per competere nel nuovo millennio:
-         Lavoro o Salute? E penso all’ILVA
-         Lavoro o Diritti? E penso alle riforme ad ogni costo
-         Democrazia o Legalità? E penso all’insofferenza del potere politico verso il controllo giurisdizionale
-         Sicurezza o Libertà? E penso ai diritti messi a rischio dai timori del terrorismo
-         Sicurezza della collettività o Dignità del malato e dell’individuo? e penso agli OPG

No, le sfide che abbiamo di fronte vanno raccolte e superate e non possono condurci ad arretramenti nelle conquiste faticosamente raggiunte in tema di diritti, doveri di solidarietà e libertà fondamentali.
Certamente ci troviamo talvolta di fronte a esigenze apparentemente in conflitto, ma sappiamo bene come la Costituzione cerchi un dinamico equilibrio tra i diversi valori e beni primari da tutelare.

Va affermato con forza che non è tutto negoziabile e sicuramente non lo è la dignità delle persone, tanto più se quelle persone sono malate e in qualche modo più vulnerabili e fragili oltre che in qualche caso più pericolose per sé e per gli altri.

Purtroppo anche in questa vicenda degli OPG abbiamo visto ripetersi uno schema ben noto al nostro Paese: slogan isolati, fughe in avanti senza che vi siano i percorsi culturali e amministrativi adeguati per rendere effettivo l’obiettivo proclamato.
Basti dire che con la legge 57/2013, il legislatore era arrivato ad approvare una norma che doveva ricordare alle istituzioni di far rispettare precedenti altre leggi rimaste lettera morta…

La battaglia  culturale verso il superamento di queste strutture di contenimento, inadeguate alla cura del malato, oggi deve attraversare le colonne d’Ercole oltre le quali però non sappiamo esattamente cosa troveremo e dove quasi nessuno si è preoccupato di farsi trovare pronto….

Sappiamo bene tutti quanto sarebbe pericoloso un fallimento e quali sarebbero gli effetti boomerang invocati.

Non bastano le dichiarazioni di principio, non bastano nemmeno le proposizioni legislative se a queste non seguono investimenti e coinvolgimento responsabile delle istituzioni e di tutti gli operatori. Ma nemmeno possiamo sempre aspettare che le soluzioni cadano dall’alto, perché così facendo soffochiamo il Paese tra gli alibi e le lamentele, invece che assumerci le nostre responsabilità fino in fondo.

A fronte dei molti problemi aperti rispetto a cosa accadrà dal 1 aprile e a quale assetto avranno effettivamente le nuove residenze, Area ha ritenuto indispensabile e urgente organizzare una giornata per dialogare, ragionare e confrontarsi su problemi e soluzioni possibili.
-         Come accompagnare gli internati fuori dagli opg?
-         Come valutare oggi la pericolosità sociale, anche alla luce dell’evoluzione della psichiatria?
-         Quale rapporto tra tutela della salute e prevenzione per la collettività?
-         Come ascoltare i bisogni delle vittime  e tutelarle?
-         Che spazio esiste tra regole e valutazioni discrezionali e soggettive in questo campo?

E’ fondamentale non abbandonare a se stessa questa riforma, altrimenti a pagarne il prezzo saranno di nuovo gli attuali internati, le loro famiglie ed anche le vittime dei reati… ma con loro l’intera civiltà giuridica del Paese.

Prima di passare la parola all’assessore Frascaroli e avviare i lavori, permettetemi di dire che questa giornata non sarebbe stata possibile senza il Presidente Maisto, il supporto instancabile dei colleghi modenesi Truppa e Pagliani, senza il sostegno di Magistratura Democratica e del Movimento per la Giustizia\Art. 3 ed il patrocinio della giunta distrettuale ANM, del Comune di Bologna (che ci ospita in questa sala) e della Regione Emilia Romagna.

voce confusa con la miseria, l’indigenza e la delinquenza,
messaggio stroncato dall’internamento e dalla necessità sociale dell’invalidazione,
la follia non viene mai ascoltata per ciò che dice o che vorrebbe dire

A cominciare da oggi e ancor di più dal 31 marzo, queste parole di Franco Basaglia possono diventare il passato.
Ma dipende da tutti noi entrare in questo futuro possibile: autorità giudiziaria e avvocatura, personale sanitario e società civile, mondo accademico e istituzioni … ascoltiamo la follia per ciò che vorrebbe dire, senza dimenticare le vittime, ma ricordando che la ferita di un reato e la sofferenza di un delitto possono essere rimarginate solo attraverso la giustizia e il rispetto della dignità delle persone.


Solo una simile giustizia può condurci a una sicurezza fondata sulla fiducia e non sulla paura.