"the problems we all live with" di norman rockwell

domenica 22 marzo 2015

Chiusura OPG: Sicurezza costruita sulla Fiducia e non sulla Paura

Oltre gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari
 PROSPETTIVE E SFIDE DI UN INCERTO FUTURO PROSSIMO

(introduzione al convegno del 20 marzo 2015)

Oggi siamo qui per evitare che un salto in avanti si trasformi in un passo indietro.
Siamo qui perché crediamo profondamente che la civiltà di un Paese e la cultura giuridica di un ordinamento si misurino anzitutto nel modo in cui sono capaci di occuparsi della sofferenza degli ultimi e degli emarginati, di coloro che sono senza potere e senza volto.

La legalità è potere dei senza potere nella misura in cui sa affermare i suoi principi fondamentali di dignità e responsabilità. Sempre e per tutti.

Così scriveva Paolo Giordano sul Corriere della Sera del 9 marzo:
[…] mentre parlavo con gli internati dell’Ospedale psichiatrico giudiziario  […] ho avuto forte la sensazione che guardassero dentro un abisso che competeva anche a me - che compete a noi tutti -, con la sola differenza che su quel abisso loro si sporgevano pericolosamente, e senza mai riuscire a distoglierne lo sguardo.

Ecco: è più facile dimenticarsi dei detenuti e ignorare la scandalosa esistenza stessa degli internati. Il carcere e soprattutto gli OPG, almeno fino al prossimo 31 marzo, sono stati i luoghi dove rinchiudere le nostre paure, le nostre sofferenze, i nostri sbagli, i nostri abissi…
Ma sono abissi che ci competono.

Anche a  questa consapevolezza - antropologica prima che giuridica - attingono i principi costituzionali di responsabilità penale personale, di finalità rieducativa della pena e di diritto alla salute.
È una consapevolezza oggi particolarmente a rischio, di fronte a una politica che sembra voler inseguire solo gli umori della paura e le esigenze della sicurezza, speculando sulla crisi e la precarietà che ci circondano.

Area crede che la Costituzione ci indichi invece una via differente, che mette al centro la dignità delle persone, una dignità che nessuna malattia può cancellare, nemmeno quella psichiatrica.

Dobbiamo rifiutare le false alternative che certa superficiale e irresponsabile modernità vorrebbe farci accettare come inevitabile dazio per competere nel nuovo millennio:
-         Lavoro o Salute? E penso all’ILVA
-         Lavoro o Diritti? E penso alle riforme ad ogni costo
-         Democrazia o Legalità? E penso all’insofferenza del potere politico verso il controllo giurisdizionale
-         Sicurezza o Libertà? E penso ai diritti messi a rischio dai timori del terrorismo
-         Sicurezza della collettività o Dignità del malato e dell’individuo? e penso agli OPG

No, le sfide che abbiamo di fronte vanno raccolte e superate e non possono condurci ad arretramenti nelle conquiste faticosamente raggiunte in tema di diritti, doveri di solidarietà e libertà fondamentali.
Certamente ci troviamo talvolta di fronte a esigenze apparentemente in conflitto, ma sappiamo bene come la Costituzione cerchi un dinamico equilibrio tra i diversi valori e beni primari da tutelare.

Va affermato con forza che non è tutto negoziabile e sicuramente non lo è la dignità delle persone, tanto più se quelle persone sono malate e in qualche modo più vulnerabili e fragili oltre che in qualche caso più pericolose per sé e per gli altri.

Purtroppo anche in questa vicenda degli OPG abbiamo visto ripetersi uno schema ben noto al nostro Paese: slogan isolati, fughe in avanti senza che vi siano i percorsi culturali e amministrativi adeguati per rendere effettivo l’obiettivo proclamato.
Basti dire che con la legge 57/2013, il legislatore era arrivato ad approvare una norma che doveva ricordare alle istituzioni di far rispettare precedenti altre leggi rimaste lettera morta…

La battaglia  culturale verso il superamento di queste strutture di contenimento, inadeguate alla cura del malato, oggi deve attraversare le colonne d’Ercole oltre le quali però non sappiamo esattamente cosa troveremo e dove quasi nessuno si è preoccupato di farsi trovare pronto….

Sappiamo bene tutti quanto sarebbe pericoloso un fallimento e quali sarebbero gli effetti boomerang invocati.

Non bastano le dichiarazioni di principio, non bastano nemmeno le proposizioni legislative se a queste non seguono investimenti e coinvolgimento responsabile delle istituzioni e di tutti gli operatori. Ma nemmeno possiamo sempre aspettare che le soluzioni cadano dall’alto, perché così facendo soffochiamo il Paese tra gli alibi e le lamentele, invece che assumerci le nostre responsabilità fino in fondo.

A fronte dei molti problemi aperti rispetto a cosa accadrà dal 1 aprile e a quale assetto avranno effettivamente le nuove residenze, Area ha ritenuto indispensabile e urgente organizzare una giornata per dialogare, ragionare e confrontarsi su problemi e soluzioni possibili.
-         Come accompagnare gli internati fuori dagli opg?
-         Come valutare oggi la pericolosità sociale, anche alla luce dell’evoluzione della psichiatria?
-         Quale rapporto tra tutela della salute e prevenzione per la collettività?
-         Come ascoltare i bisogni delle vittime  e tutelarle?
-         Che spazio esiste tra regole e valutazioni discrezionali e soggettive in questo campo?

E’ fondamentale non abbandonare a se stessa questa riforma, altrimenti a pagarne il prezzo saranno di nuovo gli attuali internati, le loro famiglie ed anche le vittime dei reati… ma con loro l’intera civiltà giuridica del Paese.

Prima di passare la parola all’assessore Frascaroli e avviare i lavori, permettetemi di dire che questa giornata non sarebbe stata possibile senza il Presidente Maisto, il supporto instancabile dei colleghi modenesi Truppa e Pagliani, senza il sostegno di Magistratura Democratica e del Movimento per la Giustizia\Art. 3 ed il patrocinio della giunta distrettuale ANM, del Comune di Bologna (che ci ospita in questa sala) e della Regione Emilia Romagna.

voce confusa con la miseria, l’indigenza e la delinquenza,
messaggio stroncato dall’internamento e dalla necessità sociale dell’invalidazione,
la follia non viene mai ascoltata per ciò che dice o che vorrebbe dire

A cominciare da oggi e ancor di più dal 31 marzo, queste parole di Franco Basaglia possono diventare il passato.
Ma dipende da tutti noi entrare in questo futuro possibile: autorità giudiziaria e avvocatura, personale sanitario e società civile, mondo accademico e istituzioni … ascoltiamo la follia per ciò che vorrebbe dire, senza dimenticare le vittime, ma ricordando che la ferita di un reato e la sofferenza di un delitto possono essere rimarginate solo attraverso la giustizia e il rispetto della dignità delle persone.


Solo una simile giustizia può condurci a una sicurezza fondata sulla fiducia e non sulla paura.

mercoledì 18 marzo 2015

DISASTRO LEGALIZZATO


Il Parlamento sta discutendo di introdurre il nuovo reato di disastro ambientale.
Questa la formulazione attualmente proposta e in discussione:
Art. 452-ter. (Disastro ambientale) Chiunque, in violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificamente poste a tutela dell'ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sè illecito amministrativo o penale, o comunque abusivamente, cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.

La norma era attesa e richiesta da tempo in un campo nel quale la maggior parte dei reati sono mere contravvenzioni con sanzioni ridicole e a rischio prescrizione: si doveva rispondere alla forte la richiesta di prevedere un delitto con sanzioni severe a protezione di un bene tanto prezioso e martoriato nel nostro Paese, quale l’ambiente.
La dichiarazione di prescrizione nella vicenda Eternit è stata la spallata finale che ha messo sotto gli occhi di tutti come in effetti questa ferita fosse aperta e sanguinante.

Bene, bravi, bis, allora!?!?
Ecco, rubando l’espressione al grande giornalista sportivo Flavio Tranquillo, direi piuttosto ironicamente: bene, ma non benissimo…

Bene ma non benissimo perché a questo bel delitto con pene effettivamente molto serie (fino a quindici anni!) sono stati messi argini a mio modesto avviso molto stretti e ipocriti…
In sostanza il disastro ambientale doloso (perché questa è la fattispecie dolosa, appunto, quindi il caso in cui tale disastro sia stato cagionato con coscienza e volontà e non per colpa…) sarebbe punibile se e solo se sia stato commesso in violazione di specifica disposizione normativa (legge, regolamento o altra disposizione amministrativa) o in modo comunque abusivo.
In altri termini il disastro ambientale doloso non sarebbe punibile quando commesso “a regola d’arte” e nel rispetto formale di tutte le norme.

“Ma se rispetto le regole cos’altro dovrei fare?! Perché non basta?!”
Ecco, in Italia può non bastare… anche perché specie in un settore così tecnico come quello della tutela ambientale (che evidentemente tocca e confligge spesso con gli interessi della grande industria), potrebbe accadere che le regole siano ritagliate su misura proprio per consentire all’impresa di fare quel che chiede e che ha bisogno di realizzare.
Il caso ILVA ci sta dimostrando in questi anni come si sia arrivati a piegare non solo le autorizzazioni amministrative ma persino la legge stessa all’esigenza suprema della produzione e del lavoro, lasciando che la salute diventi un bene sacrificabile e negoziabile.
Come se non fosse possibile tutelare il lavoro nel rispetto della legalità e proteggendo la salute delle persone e l’ambiente nel quale viviamo!

Inoltre la vicenda dell’amianto ci dimostra come sia possibile che in una primissima fase manchino le norme di riferimento, ma la scienza e l’industria sono già a conoscenza che certi comportamenti sono dannosi per l’ambiente: con la formulazione attuale queste situazione di consapevole inquinamento resterebbero salvate, proprio sfruttando cinicamente i vuoti normativi e legislativi.

E’ una piega pericolosa che stiamo vedendo spesso in molti campi: si afferma un principio demagogico di massima per fini propagandistici, ma poi si svuota di contenuto tale affermazione rendendo il valore da tutelare negoziabile e sacrificabile nel caso specifico, prevedendo eccezioni di vario tipo.
Tutto a norma di legge ovviamente….!

Legalizzare la mafia sarà la regola del duemila
…cantava così provocatoriamente Francesco De Gregori.

Il disastro ambientale doloso può allora essere commesso se si rispettano le leggi e se non lo si fa in modo abusivo…???

Capisco che tutti i cittadini e ancor di più gli imprenditori hanno la giusta esigenza di poter sapere quali siano le regole da rispettare: non sottovaluto questo problema e non chiedo che alla magistratura sia data carta bianca nel perseguire quello che ritiene ingiusto.
Tuttavia nemmeno si può accettare che un delitto così grave possa essere coperto da un formalismo di facciata, figlio spesso di un sistema poco trasparente e corrotto, come purtroppo le notizie ci ricordano tutti i giorni.

giovedì 12 marzo 2015

L'ABUSO POLITICO ED ETICO DI UN PROCESSO

La conferma da parte della Cassazione dell'assoluzione ottenuta in Appello da Berlusconi è l'ennesima occasione per commenti fuori luogo, tifo, reazioni strampalate e strumentalizzazioni.

Provando ad astrarre un attimo dal caso concreto, vorrei che questa potesse essere invece l'occasione per riflettere sulle ragioni di un processo e su quello che chiamerei il suo abuso politico ed etico. 

Il processo non è una gara che si corre solo per vincere.
Naturalmente, facendo il Pubblico Ministero devo sottoporre a una severa critica le prove da me raccolte in fase di indagini prima di esercitare l'azione penale e chiedere un processo. Lo faccio e lo devo fare anzitutto per non accusare ingiustamente alcuno ed evitare le fatiche, gli stress e i disagi di un processo. Inoltre lo devo fare per evitare che lo Stato investa tempo, denaro e risorse umane in un processo che non arriverà ad alcun effetto concreto.
Tuttavia ho l'obbligo dell'azione penale ogni volta che ritengo di aver raccolto elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio. 
E' un obbligo da prendere sul serio perché da questo discende in gran parte l'uguaglianza dei cittadini davanti all'autorità giudiziaria e alla legge.

Attenzione: prima del processo posso avere convinzioni più o meno solide, ma la verità processuale può e deve emergere proprio solo nel contraddittorio (confronto dialettico) del dibattimento, dove si formeranno le prove e si discuteranno le questioni giuridiche.

C'è la presunzione di non colpevolezza fino al giudizio definitivo e per arrivare ad una condanna normalmente ci vogliono tutti e tre i gradi di giudizio: è evidente che questo meccanismo prudente e complesso esiste non come orpello bizantino e burocratico, ma perché la storia del diritto e l'esperienza quotidiana ci insegnano che la ricerca della verità processuale è questione complicata che ha bisogno di regole e controlli successivi.

Non voglio dire che quindi tutti i Pm facciano bene a fare i processi anche quando questi terminano con un'assoluzione... anzi! Però è fisiologico che qualche azione penale non porti ad una condanna: il sistema non è fatto per condannare ad ogni costo qualcuno per ogni reato, ma per evitare che un solo innocente sia condannato.
Per questa stessa ragione lo standard di prova del processo penale è altissimo e basta un dubbio ragionevole per poter pervenire ad un proscioglimento.

A questo va aggiunto che tutti i processi contro i potenti sono inevitabilmente più complicati: sia perché spesso si tratta di vicende tecnicamente articolate, sia perché il potente ha grandi capacità di difesa.
La dovuta prudenza nell'esercizio dell'azione penale non può diventare però timidezza, altrimenti non faremmo mai i processi più difficili ma perseguiremmo soltanto emarginati e poveracci che vengono colti in flagranza di banali delitti...

Pensate ad esempio ad un processo per abuso ad un minore.
Io mi occupo di queste vicende ed esse hanno un tasso di difficoltà e di rischio di assoluzione molto alto, proprio perché purtroppo normalmente l'unica prova diretta è la testimonianza della vittima e non sempre si riesce a dare riscontri o a sostenerla dal punto di vista psicologico. Questo evidentemente non ci può però esimere da impegnarci al massimo per cercare di ottenere un accertamento processuale per dare risposta di giustizia a vicende tanto gravi.
La linea tra un processo che si deve fare e uno che va evitato esiste, e infatti non sono poche le archiviazioni...,, tuttavia è una linea indefinita, labile e in parte soggettiva. 

Nel caso di Berlusconi vi erano elementi di fatto e di diritto complessi e delicati, tanto che la Procura e i giudici di primo grado si sono convinti della colpevolezza, mentre i loro colleghi di Appello e Cassazione hanno ritenuto, per esempio, che non vi fosse la prova che Berlusconi sapesse della minore età di Ruby quando questa si prostituiva.

Se solo sapessimo evitare prima le strumentazioni politiche di un processo e poi quelle etiche.... allora lasceremmo alla giustizia fare il suo delicato compito, tenendo il dibattito politico e il giudizio etico fuori dalla vicenda.
Ed invece pare che, a seconda dei punti di vista e dei gusti, fare o non fare un processo debba essere letto politicamente... o anche che un'assoluzione diventi una patente di comportamento etico, cosa che evidentemente non è (specie se si vanno a leggere le motivazioni...).

Il processo è stato tirato troppo per la giacchetta, come fosse una bandiera.
E invece è un arbitro.
L'arbitro non ci dice chi merita di vincere o chi è più forte. Nemmeno ci dice se quel giocatore è corretto o meno.
All'arbitro spetta solo il delicato compito di applicare le regole ai comportamenti durante le partite.
E' un compito già abbastanza difficile, senza che gli chiediamo anche di fare il Salvatore della Patria.

Allora lasciamo perdere foghe giustizialiste e celebrazioni da bar per una vicenda che comunque non fa onore al nostro Paese e per un processo che è difficile dire che non si dovesse fare in partenza... a meno che non si intenda dire che certe persone non vanno processate perchè sono potenti o importanti o simpatiche o antipatiche.

La serietà e la sobrietà con cui giornalisti, politici e cittadini comuni seguono le vicende giudiziarie sono elementi essenziali per recuperare fiducia e credibilità alla giustizia e alla legalità.

E senza legalità, badate bene, non avremo mai vera libertà e vera democrazia.