"the problems we all live with" di norman rockwell

lunedì 14 novembre 2016

Le ragioni del mio NO


Vorrei spiegare le ragioni del mio NO nel referendum costituzionale del 4 dicembre provando a non cadere nelle polemiche degli slogan o nei pregiudizi della propaganda dell'una e dell'altra parte.

Ci ho pensato a lungo e ho ascoltato le ragioni di chi vota sì.
Quello che invece non ho ascolto è il ricatto politico di coloro che usano questo argomento: "la riforma è bruttina, ma se vincesse il no perderemmo un'occasione unica di cambiare le cose e inoltre consegneremmo il Paese ad un fronte del no che porta dentro di sé più populismo che proposte alternative".
Comprendo questo argomento ma non accetto che si possa scegliere una riforma costituzionale sulla base di contingenze politiche (ammesso e non concesso che siano condivisibili le paure sottese, e io in parte le condivido anche).

Il fatto è che la Costituzione è al di sopra della bassa polemica politica e non possiamo piegarla alle strategie o alle preoccupazioni di uno specifico momento.
Perché la politica cambia, lotta, si divide, insulta litiga... ma la Costituzione resta così come resta l'Italia e il suo popolo.
La Costituzione deve assolutamente conservare la capacità di essere il punto di riferimento credibile per tutti, non solo nello stabilire i principi fondamentali della prima parte (non modificata dalla riforma proposta), ma anche nel disegnare l'architettura delle istituzioni.
Perché le istituzioni si poggiano sulle regole ma vivono e respirano solo attraverso la propria autorevolezza e la fiducia dei cittadini.

Questa considerazione porta a una prima serie di argomenti che riguardano il suo percorso di approvazione.
L'attuale Parlamento è stato eletto con il c.d. porcellum, legge elettorale poi dichiarata incostituzionale. La Corte Costituzionale ha chiarito che senatori e deputati restano pienamente legittimati, ma questo non può togliere il fatto che siamo in una stagione parlamentare figlia di una legge patologica e ciò indubbiamente indebolisce l'autorevolezza del Parlamento. Pensare che in queste condizioni si metta mano a una riforma così ampia e profonda della Costituzione appare criticabile e azzardato proprio perché fa nascere indebolita e non autorevole una parte della Carta.

A questo peccato originale, che non impedisce riforme in senso assoluto ma che avrebbe dovuto sconsigliare azzardi e cercare almeno ampi consensi, si è aggiunto l'errore di un'approvazione portata avanti solo dalla maggioranza (assoluta nelle camere ma relativa tra l'elettorato...). 
Oggi il Presidente del Consiglio sta cercando di fare dei passi indietro sotto questo punto di vista spersonalizzando il referendum, ma è stato lui per primo a personalizzare fortemente la riforma, rendendola non solo una riforma di maggioranza e non di un'ampia coalizione, non solo una riforma dell'esecutivo che l'ha voluta (anomalia grave), ma anche una riforma cui ha legato almeno inizialmente la sorte stessa del Governo e del suo futuro politico, ponendo una sorta di ricatto politico sul voto referendario.

Tutti questi sono errori e non riguardano solo la forma ma vanno a incidere nella credibilità e autorevolezza della riforma, che è sostanza quando parliamo di Costituzione.

Veniamo al merito e quindi anzitutto al bicameralismo.
Il bicameralismo perfetto appare oggi in effetti una stranezza che provoca costi e inefficienze, anche se farei notare che il doppio passaggio parlamentare per un verso ha spesso evitato che diventassero legge dello Stato norme vergognose (penso al settore giustizia) e per altro verso non ha impedito affatto l'opera di legislazione, che invece semmai è stata sovrabbondante e irrazionale.
Volendo comunque scegliere per un Senato delle Regioni sarebbe stato opportuno renderlo elettivo, così da legittimarlo con maggiore forza davanti ai cittadini e da non chiedere un impossibile doppio lavoro ai consiglieri regionali e ai sindaci. E' vero che ciò accade in altri Paesi, ma non mi sembrano esempi da imitare e comunque si indebolisce l'uno o l'altro ufficio in cui il membro del Senato è chiamato a rappresentare il territorio.
Se poi la questione sono i costi si sarebbe potuto diminuire il numero dei parlamentari, che invece restano ben 630...

L'idea di fondo di una camera dedicata alle Regioni e ai territori resta sicuramente valida, ma oltre al deficit democratico dei suoi eletti appare indebolita anche da una competenza legislativa nebulosa e pasticciata.
Nessun sostenitore del Sì potrà sinceramente dirvi che l'articolo 70 sia chiaro e semplifichi il procedimento legislativo; anzi, ne crea moltissimi speciali con probabili futuri problemi di interpretazione, applicazione e conflitto tra camere per stabilire se, come e quando il Senato debba pronunciarsi.

L'aspetto però più preoccupante, a mio avviso, del nuovo assetto costituzionale sarebbe che finiremmo di essere davvero una Repubblica Parlamentare, creando di fatto un unicum tra Parlamento e Governo.
Questo fenomeno, purtroppo già in corso nella prassi, sarebbe aggravato dal fatto che il procedimento legislativo sarebbe accelerato e con corsie preferenziali garantite per i disegni di legge del Governo, che così diventa sempre di più quindi il dominus anche dell'assemblea legislativa.
Questo effetto è aggravato dal famigerato combinato disposto con l'Italicum, che consegna la maggioranza assoluta parlamentare a partiti anche con rappresentanza effettiva popolare molto bassa.
Molti dicono che dell'Italicum non debba tenersi conto perché ne è stato annunciato il cambiamento.
Ebbene, ammettiamo che in effetti venga cambiato... (circostanza su cui, con una battuta, non starei troppo sereno).
Il problema non cambia perché qualsiasi nuova legge elettorale proposta dalla maggioranza prevederebbe premi di maggioranza, modificando magari solo il meccanismo dei capilista bloccati per non imbattersi di nuovo in problemi di costituzionalità.
Ma se così fosse la prospettiva di una medesima maggioranza che controlla a suo piacimento Governo e Parlamento sarebbe inevitabile... e in quanto tale pericolosa per la mancanza di contro poteri adeguati e per la grave violazione del principio democratico base della separazione dei tre poteri.

Attenzione, dicendo questo io non intendo certo rimpiangere necessariamente il sistema rappresentativo e consociativo che vi è stato per decenni e che ha rappresentato una delle principali ragioni della proliferazione della burocrazia e della corruzione, facendo anche salire il debito pubblico a livelli insostenibili (se si deve negoziare con tutti ogni decisione, si finirà per accontentare tutti e non fare scelte precise).

Se si voleva rafforzare Governo, si sarebbero dovuti immaginare però adeguati contro poteri quali ad esempio: un Parlamento eletto con tempistica diversa per propiziare possibili maggioranze diverse come avviene negli Stati Uniti... ovvero un Presidente della Repubblica eletto a maggioranza amplissima e con poteri rinforzati... o ancora un Presidente del Consiglio eletto direttamente dai cittadini (cosa oggi non prevista e non voluta dalla Costituzione!) ma nettamente separato dall'assemblea legislativa.

Si poteva anche, ma qui forse entro nel libro dei sogni, introdurre in Costituzione il c.d. quarto potere, ovvero l'informazione, per garantirne indipendenza e autonomia da potere politico ed economico, così che svolga davvero il ruolo di cane da guardia del potere e di voce della coscienza dei cittadini.

Niente di tutto questo è stato fatto, rifugiandosi dietro allo slogan dell'efficienza, della governabilità e della semplificazione.
Si è voluta scaricare sulla Carta del 48 l'incapacità della nostra classe politica di fare strategie di ampio respiro e durature.
Eppure è difficile sostenere che l'Italia non dovesse affrontare sfide più grandi all'indomani del disastro della Seconda Guerra Mondiale...

In ogni caso la legge elettorale che verrà (Italicum o no) garantirà già da sola la governabilità, dando un premio di maggioranza di qualche tipo al vincitore, così da risolvere forzatamente l'enigma del sistema ormai tripolare italiano.

La fusione tra legislativo ed esecutivo, già pericolosamente in corso, non verrebbe risolta ma certificata e legalizzata, squilibrando tutto l'assetto costituzionale pensato sapientemente dopo l'esperienza del ventennio e della guerra.

Aggiungo una provocazione: visto il modo irresponsabile e unilaterale con cui si sono scritte le ultime leggi elettorali, non sarebbe stato forse saggio ed opportuno inserire il sistema elettorale in Costituzione, così da evitarne modifiche a colpi di maggioranza e garantirne la compatibilità con gli equilibri costituzionali...?

Le modifiche prevista dalla riforma sono molte altre e sicuramente non tutte negative. In particolare verrebbe almeno in parte razionalizzato il riparto di competenza tra Stato e Regioni, che oggi genera un conflitto costante e dannoso per i territori.

Tuttavia la patologia originaria di questa riforma e il disegno squilibrato tra i poteri sono a mio modo di vedere le ragioni prevalenti e fondamentali che suggeriscono con forza di votare No, e non ci si vuole gettare in un'avventura pericolosa.

Questo Paese ha già conosciuto salvatori della patria, personalismi, populismi e derive di regime.
La modernizzazione del Paese non credo possa passare nel calpestare questi equilibri quanto semmai nel riscoprire ed applicare una Costituzione ancora troppo spesso tradita nei principi ma anche negli assetti istituzionali.

La semplificazione del bicameralismo e la redistribuzione delle competenza tra Governo Centrale e Regioni sarebbero allora davvero un completamento salutare dell'assetto istituzionale e non l'attuale salto nel buio verso una riforma nata male, proseguita peggio, squilibrata e pasticciata in punti essenziali.

La Costituzione è "ciò che ci siamo dati da sobri a valere per quando fossimo stati ubriachi" (cit. Zagrebelsky).
Per questo, pur comprendendo le anche legittime aspirazioni di cambiamento di molti, ritengo che il 4 dicembre sarebbe avventato scegliere la strada degli slogan, delle scorciatoie, delle risposte facili a problemi complessi e che l'attuale Carta può ancora risolvere.

Mi auguro che la vittoria del No però non sia fine a se stessa: tutti ( e dico tutti... vinti e sconfitti) devono farsi carico di aprire una stagione politica più matura, con partiti democratici, una stampa indipendente, con riforme discusse in Parlamento e la capacità di saper convertire con ampie maggioranze su alcune modifiche utili e fattibili nell'interesse e con la condivisione di tutti.

Perché la Costituzione era, è e sarà un patrimonio di tutti.
Non un regalo da scartare, ma una promessa da realizzare con impegno, serietà e passione.