venerdì 13 dicembre 2019

La Pagella del Pm: risposte sbagliate e sfide da affrontare


La proposta delle “pagelle” è in sé risibile, manifestazione per un verso di sfiducia populista verso la magistratura e per altro verso di mancanza di consapevolezza della complessità del processo.
Però terminare qui l’analisi sarebbe troppo comodo.

Magistrati e operatori del diritto sanno benissimo che l’esito di un processo non può essere ridotto a una vittoria o ad una sconfitta del Pubblico Ministero.
Sappiamo che ci sono indagini doverose e ben fatte che conducono a processi assolutamente necessari e che possono infine terminare con un’assoluzione.
Questo argomento credo che però non debba consentirci di eludere il problema della professionalità e della qualità del lavoro.

Facendo il PM da molti anni penso e dico che vorrei (e dovrei...) sapere sempre l’esito dei miei processi (tutti, non solo dei più importanti) e la tenuta della mia impostazione accusatoria nei tre gradi
La realtà è che spesso noi "pubblica accusa" perdiamo il polso della situazione dopo il primo grado, a volte anche di processi di una certa delicatezza…e talvolta per il semplice fatto che ci spostiamo in altro ufficio.

Mi sento come un medico che opera e che poi però spesso non conosce il decorso del malato che ha cercato di curare… come se non fosse più una sua responsabilità
Non è detto che le cose siano andate male perché ho sbagliato qualcosa, certo…però vorrei saperlo per fare un’analisi e per crescere.
Anche nel campo medico un'intervento ben fatto può condurre ad un esito infausto, ma ovviamente l'analisi intelligente delle statistiche sui decorsi dei malati si guardano eccome, perché se il singolo caso non può essere letto in chiave assoluta, le statistiche complessive danno indicazioni importanti.

Se la soluzione diventassero le pagelline o le formule matematiche saremmo di fronte ad una semplificazione mortificante e distorsiva di un lavoro e di un percorso processuale che ha aspetti e significati non tutti riducibili a un pollice in su o in giù…
Se invece volessimo affrontare seriamente il problema, sarei io stesso il primo a voler conoscere la statistica sull'esito delle mie indagini perché potrebbe darmi spunti di riflessione sulla completezza delle mie indagini e sulla qualità del mio lavoro e delle mie scelte.

Naturalmente il numero andrebbe letto, interpretato, contestualizzato… andrebbero viste le motivazioni almeno a campione, ma non conoscere questo dato mi pare espressione di un atteggiamento corporativo e auto-assolutorio che non ci aiuta a difendere la credibilità del nostro lavoro.

Faccio due esempi paradossali per dimostrare che quel dato sarebbe utile nella misura in cui vi fosse la capacità di leggerlo con intelligenza.
1) Se avessi il 100% di condanne sino al terzo grado mi chiederei se forse non sto facendo solo e soltanto i processi facili e sicuri, quelli privi di alcuna difficoltà dal punto di vista probatorio e\o giuridico…
2)  Se mi occupassi di reati contro la pubblica amministrazione saprei benissimo che un tasso maggiore di assoluzioni rispetto ad altri settori è (per quanto frustrante) fisiologico , ma conoscere l’esito mi aiuterebbe a comprendere dove lavorare per impostare in maniera sempre più solida e convincente le mie indagini
...e gli esempi si potrebbero moltiplicare…

Ogni magistrato avrebbe tante cose da dire sul punto e ci sono mille distinguo da fare.
Credo però che non si possa dire che il dato sulla tenuta delle imputazioni non dica qualcosa sulla qualità del lavoro di quelle imputazioni ha formulato.
Così come non credo che si potrebbe dire che il dato sulla tenuta delle decisioni di primo grado non dica qualcosa sulla qualità di quelle sentenze…

Infine, ultimo ma non ultimo, è evidente che qualsiasi ragionamento sui numeri e sulla tenuta nei tre gradi non dovrebbe trascurare il problema delle condizioni di lavoro e del contesto di sistema nel quale interveniamo e che pesantemente condiziona la nostra possibilità di fare effettivamente del nostro meglio.
La prospettiva di fondo dovrebbe essere quella di aiutarci a lavorare meglio e in modo efficace e non di puntare il dito contro qualcuno.

Detto questo, arrivo allora alla riflessione che mi preme di più fare.

Noi magistrati abbiamo troppo spesso fatto gli struzzi.
Siamo rimasti chiusi nella nostra cittadella, senza governare e prevenire adeguatamente le inefficienze, le cadute di professionalità e la sciatteria che talora si manifesta nel nostro ambiente e nella nostra quotidianità.
Come sempre accade e come accadrà sempre di più nel futuro, laddove non abbiamo saputo intervenire noi con intelligenza, rischia di arrivare una soluzione politica all’insegna del populismo, fatta di banalizzazioni e capri espiatori per problemi complessi.

Prendiamocela pure con queste ricette fatte solo per la propaganda e che non risolvono nulla, ma scaricano solo su di noi i problemi veri e presunti del sistema.
Se ci limitiamo però a dire “NO” a queste soluzioni facili e sbagliate, l’ondata populista arriverà comunque e travolgerà anche il nostro lavoro e il nostro autogoverno.
Ci rimetteremmo noi e ci rimetterebbe la qualità della giustizia.

Io penso che la difesa dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura passi proprio dal farsi carico in modo responsabile e intelligente di queste sfide.