sabato 12 dicembre 2020

Giudici indipendenti: dal Governo e dalla Piazza

La recente vicenda dell'assoluzione di un uomo dall'accusa di omicidio della moglie ha scatenato reazioni sia dal mondo politico che nell'opinione pubblica.

Come spesso accade siamo di fronte ad un corto circuito della (presunta) informazione, che, sapendo di poter colpire nel segno, ha presentato la decisione con un pericoloso mix di imprecisioni, contribuendo a suscitare la reazione del pubblico (e uso questo termine non a caso al posto della parola cittadini) e la successiva muscolare iniziativa del Ministro della Giustizia, che ha inviato degli ispettori per verificare l'accaduto.

Ma di cosa stiamo parlando?

Ecco, quasi nessuno lo sa. Di carte processuali non se ne trovano e peraltro dubito che sarebbero in molti a leggerle.

Siamo interessati a esprimere i nostri giudizi e non certo a capire e a perdere tempo con oziose questioni sui fatti e sulle regole e sui termini (sofismi da Azzeccagarbugli). Il tempo del giudizio è quello rapido dello scorrimento di una (pseudo) notizia sullo schermo dello smartphone.

L'unico passaggio noto, enfatizzato ad uso mediatico, sarebbe quello per cui i consulenti della difesa e del Pubblico Ministero avrebbero affermato, durante il dibattimento, che l'imputato “era in preda ad un evidente delirio da gelosia che ha stroncato il suo rapporto con la realtà e ha determinato un irrefrenabile impulso omicida”.

L'equazione ipotizzata dai media è che la gelosia sarebbe diventato il motivo dell'assoluzione, così dando la stura a vecchie categorie maschiliste, tese a giustificare la violenza dell'uomo.

A questo punto la notizia passa sullo sfondo. Il fatto è che un uomo è stato assolto dopo aver ucciso la moglie per gelosia: ora dobbiamo schierarci. O ancor meglio, indignarci... perché tutti ci sentiamo più giusti se abbiamo qualcuno o qualcosa da additare come sbagliato, perché così possiamo sfogare la nostra rabbia.

Proviamo a non cadere in questo tranello e cerchiamo di capire se il punto di partenza è corretto. Attenzione, qui non mi preme entrare nel merito della vicenda processuale (cosa che non possiamo fare per i motivi che dirò), ma affermare dei principi di metodo che sono essenziali perché il dibattito pubblico non si trasformi in una rissa o in urla da stadio.

Premessa: è stato pronunciato solo il dispositivo della sentenza, quindi nessuno conosce le motivazioni. Ecco perché dovremmo trattenerci da strepiti e illazioni e, se davvero interessati al caso e non a far risuonare i nostri (pre)giudizi, dovremmo semplicemente e sommessamente aspettare di poterle leggere. La "gelosia" non è certo citata dal dispositivo ma è un'espressione estrapolata da un contesto certamente più ampio e complesso, ovvero il dibattimento.

Detto questo, veniamo al primo vizio di questo modo di dare la notizia: è un'assoluzione perché l'imputato è stato ritenuto incapace di intendere e di volere. Non quindi un'assoluzione sul merito: è stato riconosciuto che il delitto è stato effettivamente commesso dall'accusato, ma questi non può ritenersi imputabile perché non era in grado di comprendere la situazione e determinare le proprie scelte.

Se ci fermiamo a riflettere un'istante, comprendiamo bene quanto sia importante che nel nostro ordinamento si pretenda che la sanzione penale (la più grave prevista dal sistema perché limitativa della libertà personale) può essere applicata solo se l'autore del fatto era imputabile e quindi rimproverabile.

D'altronde, cosa ci potrebbe essere di più ingiusto dal punire qualcuno che non era soggettivamente responsabile di quello che stava facendo? Altro aspetto è poi quello di come gestire il soggetto che sia prosciolto ma dichiarato pericoloso: ecco che consegue una misura di sicurezza, ovvero una misura di durata indefinita e volta a controllare e contenere e prevenire il soggetto fino a che sarà riconosciuto pericoloso. L'esigenza punitiva non prevale sul rispetto della persona e sulla correlazione tra responsabilità e sanzione.

Tutto ciò discende direttamente dai principi costituzionali di responsabilità penale personale e del fine rieducativo della pena: come potremmo perseguire la rieducazione di qualcuno che non era senza sua colpa inconsapevole e non responsabile delle sue azioni?

A questo punto gran parte delle polemiche sarebbero già smontate e la riflessione si sposterebbe al massimo sulla valutazione psichiatrica fatta nel dibattimento. Ma, appunto, nessuno di noi conosce le carte e gli accertamenti fatti dai consulenti e quindi non possiamo certo criticarne le conclusioni.

Ma ormai è partita la corsa sfrenata ad esprimere giudizi e il polverone mediatico spinge il Ministro a reagire e a inviare degli ispettori presso gli uffici giudiziari coinvolti.

Ecco che il corto circuito è completo: un rappresentante del Governo, e quindi del potere esecutivo, invia qualcuno a controllare la decisione dei magistrati, il potere giudiziario.

I magistrati sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 Costituzione), eppure dovranno rispondere agli ispettori, non si capisce bene di cosa... il tutto mentre ancora devono essere scritte le motivazioni, ovvero la spiegazione dettagliata della decisione presa.

La decisione dei magistrati non è un totem intoccabile, ma la verifica della corretta applicazione delle norme deve avvenire nell'ambito della giurisdizione, negli eventuali successivi gradi di giudizio, e secondo le regole proprie del processo.

L'esercizio della giurisdizione è l'espressione più alta dell'indipendenza della magistratura da ogni altro potere e tale separazione è un baluardo della democrazia e non un privilegio dei magistrati.

Il gradimento del potere o dell'opinione pubblica non sono categorie degne di un sistema giudiziario liberale e giusto.

"Esistono al mondo Paesi in cui tutte le decisioni dei tribunali incontrano il favore del governo, ma non sono posti dove si desidererebbe vivere" (Lord Bingham)