In queste settimane osserviamo la protesta forte di molte categorie: dai camionisti ai notai, passando per farmacisti e avvocati. Ogni categoria è portatrice di legittimi interessi e di una specifica visione, e nel recente passato analoghe battaglie di categoria sono state portate avanti anche dalla magistratura, che si riteneva aggredita nelle sue prerogative costituzionali (e sotto tale nobile e giusto vessillo ha volte ha difeso posizione di rendita e piccoli privilegi).
E’ fin troppo facile osservare che quasi tutti noi siamo d’accordo quando le riforme riguardano gli altri e invece opponiamo resistenza nel momento in cui ci toccano direttamente: siamo tutti molto corporativi e forse c’è anche una certa diffidenza che i sacrifici chiesti a qualcuno servano davvero a tutti. Non entro nelle luci ed ombre del progetto governativo, ma vorrei approfittare di queste vicende per una piccola riflessione sulle lobby.
Da noi il termine lobby è avvolto da un’area esclusivamente negativa, richiamando l’azione di corporazioni solitamente danarose per influenzare l’azione pubblica a loro interesse, muovendosi nei corridoi e nel backstage della vita pubblica. Quasi nessuno sa che nel Parlamento Europeo i “lobbisti” devono (o dovrebbero) essere tutti registrati e agiscono (o dovrebbero agire) in maniera trasparente. Un assurdo? Non direi…
Se ad esempio si discutesse di una direttiva sulle automobili, entrerebbero in campo le lobby a rappresentare e sostenere le ragioni provenienti dalle varie parti: i produttori di auto, le associazioni ambientali, i sindacati dei lavoratori, ecc… Non dovranno (non dovrebbero) fare telefonate subdole, corteggiamenti serrati o imbarazzanti proposte, bensì si presenterebbero in Parlamento chiedendo ufficialmente di essere ricevuti dai vari parlamentari al fine di convincerli delle loro ragioni. Nessuna parte va demonizzata in assoluto, avendo conoscenze specifiche e una propria legittima visuale: l’importante è che la loro azione di pressione si svolga in maniera trasparente: poi la palla passa alla politica che nel dibattito dovrà bilanciare i diversi interessi ma soprattutto cercare il bene della collettività presente e futura.
Facile a dirsi, certo. Però almeno si cerca di portare alla luce del sole un fenomeno che altrimenti si alimenta di comportamenti scorretti ed è da sempre (e forse sarà per sempre) una delle più tipiche occasioni di corruzione degli uomini che si occupano di politica. Nessuna relazione pericolosa e segreta (si spera), ma incontri regolarmente registrati così che eventualmente l’opinione pubblica possa rendersi conto e valutare se il singolo parlamentare è stato portare di interessi di parte o ha avuto la capacità di ascoltare tutti formandosi un’autonoma opinione.
Naturalmente il meccanismo ha speranza di funzionare solo se esiste una stampa libera e una cittadinanza dotata di una minima capacità di senso critico e solo se esistono autorità serie di controllo che vigilano; inoltre credo anche che si dovrebbero prevedere regole per impedire che lelobby economicamente più forti possano diventare “troppo convincenti”. Si tratta di una sfida non scontata, insomma, ma che presenterebbe grandi opportunità.
L’Italia, affetta da cronica corruzione pubblica, ha bisogno di liberarsi di tanto buonismo ipocrita (fingiamo tutti di perseguire nobili fini ma poi facciamo pressione perché nessuno tocchi il nostro orticello) per affrontare in maniera più moderna e trasparente anche il fenomeno delle lobby, così che pian piano maturi la consapevolezza che al di sopra degli interessi di categoria c’è il bene comune.
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