E' una ferita per tutti coloro che lavorano nei palazzi di giustizia e per chi crede nelle istituzioni e nella legalità.
Che queste morti siano per noi occasione di riflessione per moltiplicare il nostro impegno nel fare fino in fondo il dovere a cui siamo chiamati.
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Aveva finito da poco la camera di consiglio mattutina,
poche cose, ma come al solito due gatte da pelare, una ordinanza in sede di
reclamo e una ricusazione.
Una ricusazione posta da uno dei più noti folli del
Tribunale, che tutti ricusa da anni, nei suoi molti giudizi in sede civile e
penale; anche io lo giudicai questo fanatico della ricusazione e lo assolsi se
non erro dal reato di oltraggio; in effetti anche Fernando che doveva giudicare
sulla ricusazione del presidente della sezione 13, era stato in altre occasioni
ricusato da questo, il quale voleva in tutti i modi presenziare alla udienza
sulla ricusazione, ma non gli è stato consentito, trattandosi di camera di
consiglio.
Decisioni prese, presiedeva Fernando, il collegio, non la
sezione, perchè dopo otto anni di presidenza di sezione ufficiale - fra cui la
mia la ottava civile - era "scaduto" e tornato a fare il giudice
semplice, seppure fosse il più anziano; ora si chiedono i colleghi, come
depositeremo le ordinanze? Il codice dice come si può fare in caso di
impossibilità del presidente, ma non dice con quale cuore.
Anche la ricusazione, diciamocelo, era una presa in giro,
una presa in giro che viene da lontano. Ricordo un dibattimento penale con
imputati eccellenti in cui venimmo - fra collegio e presidente - ricusati sette
volte, da prima che arrivasse il fascicolo dal GIP a poco prima di entrare in
camera di consiglio.
Una moda, un malvezzo, irrispettoso della giustizia e di
chi la amministra? Non direi, era qualcosa di più, qualcosa che è ha fatto poi
scuola. Siamo stati compatti nel combattere o anche solo nello stigmatizzare
questo "malvezzo"? Non mi pare, almeno ai tempi e così anche questa
persecuzione delle ricusazioni continua.
Comunque Fernando ha sopportato in allegria, anche ieri,
parlava del nipote,del sole, scherzava; ha salutato i colleghi che andavano a
prendere un caffè, lui non ne beveva ed è andato in stanza, a combattere con il
computer. Perchè a 70 anni suonati gli era toccato il telematico; ogni tanto mi
fermava perchè gli chiarissi questo o quel punto degli
applicativi: apprendeva poco prima di andare in pensione
un modo nuovo di lavorare, tra lo scettico e il divertito.
Talvolta gli davo chiarimenti, era stato mio presidente
ai tempi proprio di questa causa che gli è costata la vita, vedevo la sua aria
di rimbrotto "cosa mi fai fare proprio a fine carriera!", ma vedevo
anche la apertura ai tempi nuovi, come ai tempi del processo societario in cui
aveva creduto fermamente, almeno all'inizio. Però stavo lontano dal suo ufficio
ormai alcuni piani, ero un po' fuori portata, così chiedeva spesso alla collega
Silvia ed anche stamane le aveva chiesto di spiegargli alcune cose sulla
consolle.
Silvia sarebbe andata dopo il caffè.
Ma dopo il caffè Fernando era morto; da lui c'era, quando
Giardiello gli ha sparato, la Cancelliera, forse per cercare di spiegargli
qualcosa sul computer o per vedere i fascicoli. Di certo stava lavorando.
Era morto perchè aveva lavorato, perchè lavorava; se
avesse preso il caffè forse sarebbe morto lo stesso al ritorno in stanza, ma
forse ci sarebbero stati altri morti. L'assassino fuggendo è èassato davanti
all'ufficio di Alessandra, che pure aveva giudicato quelle cause.
Due piani sopra un avvocato era morto poco prima, perchè
aveva testimoniato, perchè si offriva alla verità: Lorenzo Claris Appiani.
Morto nella faida orrenda un ex socio e ferito un altro.
Due piani più sopra ancora stavo sentendo una testimonianza:
quattro legali, due parti, altri testi fuori dalla porta, una stagista, l'unica
che sente gli spari. I primi allarmi vanno per mail e siccome faccio udienza
con il computer davanti per verbalizzare, la mail dal titolo "spari in
Tribunale" la leggo, esco e mi dicono che la vittima era Fernando, col
quale avevo diviso liti e pensieri in camera di consiglio:
il lavoro di decidere i casi giudiziari, la sorte degli
uomini, di cercare se possibile la pace, di gettare un ponte fra opposte
fazioni.
Si decide di chiuderci dentro, in corridoio c'era ancora
qualcuno,
entrano: alla fine siamo in sedici nella stanza, uomini e
donne alla ricerca di notizie, chiusi a chiave, poi anche barricati con un
tavolo, già che ci siamo. Una teste si sente male, ma non molto per fortuna.
Notizie zero. Mio figlio mi uozzappa e vedo che ne sa più
lui che sta ad Edimburgo di me che sono qui chiuso ed isolato.
Internet ci manda notizie, i telefoni del palazzo nulla;
qualcuno è stato sfollato fuori e vuole notizie da dentro, ma noi stiamo qui
chiusi dentro un microcosmo sicuro.
I ruoli si sciolgono, non più giudice, non più avvocati o
testimoni, solo uomini e donne a riflettere sulla morte sul lavoro sulla
giustizia e la ingiustizia, per passione, abitudine, non più per lavoro.
Telefonate discrete, mai urlate, molto educate a figli,
mariti, mogli, non si sa anche amanti, colleghi di studio: "guarda ritardo
.." "ma lo so benissimo che in Tribunale si è sparato"
Il figlio di una donna le dice assolutamente di non
uscire, lei lo segue e consulta felice di avere una guida che ritiene
affidabile.
I più coraggiosi origliano, fuori è silenzio per
parecchio tempo, un'ora forse.
La mail del presidente del Tribunale dice di chiudersi in
stanza: già fatto, obbediamo convinti.
Si ricorda Fernando, io cerco di illudermi che non sia
morto, poi internet dice che non è così. Cordoglio, cordoglio di uomini e
donne, le parti non sono più contrapposte, il ponte è gettato.
Esce il nome del colpevole, mi dice qualcosa, cerco nella
fida consolle e lo trovo, ho fatto io la sentenza, che ormai poco interessava
dopo il fallimento della società, ma lui aveva insistito a chiedere danni; i
soci lo accusavano di aver intascato fondi sociaell prelevati dal
"nero"
lui diceva che in realtà si era ripreso soldi che aveva
messo prima nella società, chiede danni agli altri. Poi la società è fallita,
facile che ne sia nato il processo di bancarotta di cui parla la rete. Io spero
di non essere il prossimo della lista, visto che ancora non lo hanno preso, non
so se dirlo a chi è con me, non vorrei che la signora che si sente male o
quella che si consulta con il figlio si prendessero paura.
Nel frattempo ho segnalato per vie traverse a una eroica
funzionaria, che pare coordinare le operazioni, che siamo in 16 e una signora
accusa malessere. Non so se sia stata lei, ma dopo poco arriva qualcuno la
polizia; poco prima si era saputo che era stato preso nell'hinterland a
Vimercate e mi sento scemo per essermi chiuso in stanza per paura di un
fuggiasco lontano da tempo.
Usciamo, finisco il verbale rinviando tutto. Arriva
l'avvocato della causa dopo, da dove? "Ero chiuso in Cancelleria" e
quasi sorride "non faccio mai giudiziale, che fortuna oggi".
Tipo simpatico, dopo quel che abbiamo vissuto il clima è
quasi amichevole, mi dice che una possibilità di transazione forse esisterebbe,
ma chissà dove si è rifugiato il collega di controparte?
Telefona: era lì vicino ma è andato via, chi potrebbe
rimproverarlo?
Alla fine rinvio: ci vediamo fra un mese, senza testi, si
cerca un accordo, la causa è per me nuova, il provvedimento istruttorio era di
ammissione di tutte le prove genericamente e mi pare da rivedere.
Si torna al lavoro, alla normalità spero di no, spero che
sia una normalità diversa, di non perdere il clima di quella stanza, non per la
paura - non ne avevamo tanta - ma per il ponte gettato.
Che non sia una normalità di lotta e di spari, veri o
metaforici, che i controlli siano controlli. Nella esperienza di molti giudici
ci sono liti, aggresisoni avvenute anche nei nostri uffici, ricordiamo Varese,
Reggio emilia, ma molt di noi hanno ricevuto visite poco piacevoli di parti
irragionevoli.
Questo non deve essere più la normalità.
Al pomeriggio sento il Presidente della Repubblica che
dice che non bisogna gettare discredito sulla magistratura e lo strano è che ci
sia bisogno di ricordarlo.
Ma è così dal discredito alla aggressione il passo è
breve.
Strano perchè in quella stanza nessuno si sognava di
farlo; avevo dimenticato quel che è stato nei mesi scorsi, meglio molto meglio
dimenticarlo.
Passo davanti alla stanza di Fernando e vedo i sigilli
dei Carabinieri, in croce.
E' morto Fernando, mentre faceva il giudice perchè aveva
fatto il giudice, bene o male che lo abbia fatto non importa più, era lo Stato
quando faceva il giudice e per questo solo già merita rispetto. So che a
qualcuno questo rispetto sarà costato, ma è dovuto comunque perchè è dovuto
allo Stato, alla cosa comune, alla giustizia che rappresenta. e noi tutti
abbiamo il dovere di esigerlo.
E' morto, senza aver del tutto digerito il processo
telematico, è morto a pochi mesi dalla pensione che forse non voleva, è morto
senza aver preso il caffè e dopo la ennesima ricusazione di chi non capisce
cosa è un giudice.
E' morto, ma mi ha regalato la esperienza della stanza
divisa in sedici; lo ricorderò sempre, con affetto.
Ciao Fernando
Enrico Consolandi - già giudice della ottava sezione
civile del Tribunale di Milano, già presieduta da Fernando Ciampi