"the problems we all live with" di norman rockwell

sabato 11 aprile 2015

MORIRE di GIUSTIZIA

Pubblico, con il permesso del collega, questa testimonianza di quanto accaduto nel palazzo di Giustizia di Milano in ricordo del giudice Ciampi, ed in memoria naturalmente anche delle altre vittime: l'avvocato Appiani e Giorgio Erba.

E' una ferita per tutti coloro che lavorano nei palazzi di giustizia e per chi crede nelle istituzioni e nella legalità.
Che queste morti siano per noi occasione di riflessione per moltiplicare il nostro impegno nel fare fino in fondo il dovere a cui siamo chiamati.

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Aveva finito da poco la camera di consiglio mattutina, poche cose, ma come al solito due gatte da pelare, una ordinanza in sede di reclamo e una ricusazione.
Una ricusazione posta da uno dei più noti folli del Tribunale, che tutti ricusa da anni, nei suoi molti giudizi in sede civile e penale; anche io lo giudicai questo fanatico della ricusazione e lo assolsi se non erro dal reato di oltraggio; in effetti anche Fernando che doveva giudicare sulla ricusazione del presidente della sezione 13, era stato in altre occasioni ricusato da questo, il quale voleva in tutti i modi presenziare alla udienza sulla ricusazione, ma non gli è stato consentito, trattandosi di camera di consiglio.
Decisioni prese, presiedeva Fernando, il collegio, non la sezione, perchè dopo otto anni di presidenza di sezione ufficiale - fra cui la mia la ottava civile - era "scaduto" e tornato a fare il giudice semplice, seppure fosse il più anziano; ora si chiedono i colleghi, come depositeremo le ordinanze? Il codice dice come si può fare in caso di impossibilità del presidente, ma non dice con quale cuore.
Anche la ricusazione, diciamocelo, era una presa in giro, una presa in giro che viene da lontano. Ricordo un dibattimento penale con imputati eccellenti in cui venimmo - fra collegio e presidente - ricusati sette volte, da prima che arrivasse il fascicolo dal GIP a poco prima di entrare in camera di consiglio.
Una moda, un malvezzo, irrispettoso della giustizia e di chi la amministra? Non direi, era qualcosa di più, qualcosa che è ha fatto poi scuola. Siamo stati compatti nel combattere o anche solo nello stigmatizzare questo "malvezzo"? Non mi pare, almeno ai tempi e così anche questa persecuzione delle ricusazioni continua.
Comunque Fernando ha sopportato in allegria, anche ieri, parlava del nipote,del sole, scherzava; ha salutato i colleghi che andavano a prendere un caffè, lui non ne beveva ed è andato in stanza, a combattere con il computer. Perchè a 70 anni suonati gli era toccato il telematico; ogni tanto mi fermava perchè gli chiarissi questo o quel punto degli
applicativi: apprendeva poco prima di andare in pensione un modo nuovo di lavorare, tra lo scettico e il divertito.
Talvolta gli davo chiarimenti, era stato mio presidente ai tempi proprio di questa causa che gli è costata la vita, vedevo la sua aria di rimbrotto "cosa mi fai fare proprio a fine carriera!", ma vedevo anche la apertura ai tempi nuovi, come ai tempi del processo societario in cui aveva creduto fermamente, almeno all'inizio. Però stavo lontano dal suo ufficio ormai alcuni piani, ero un po' fuori portata, così chiedeva spesso alla collega Silvia ed anche stamane le aveva chiesto di spiegargli alcune cose sulla consolle.
Silvia sarebbe andata dopo il caffè.
Ma dopo il caffè Fernando era morto; da lui c'era, quando Giardiello gli ha sparato, la Cancelliera, forse per cercare di spiegargli qualcosa sul computer o per vedere i fascicoli. Di certo stava lavorando.
Era morto perchè aveva lavorato, perchè lavorava; se avesse preso il caffè forse sarebbe morto lo stesso al ritorno in stanza, ma forse ci sarebbero stati altri morti. L'assassino fuggendo è èassato davanti all'ufficio di Alessandra, che pure aveva giudicato quelle cause.
Due piani sopra un avvocato era morto poco prima, perchè aveva testimoniato, perchè si offriva alla verità: Lorenzo Claris Appiani.
Morto nella faida orrenda un ex socio e ferito un altro.
Due piani più sopra ancora stavo sentendo una testimonianza: quattro legali, due parti, altri testi fuori dalla porta, una stagista, l'unica che sente gli spari. I primi allarmi vanno per mail e siccome faccio udienza con il computer davanti per verbalizzare, la mail dal titolo "spari in Tribunale" la leggo, esco e mi dicono che la vittima era Fernando, col quale avevo diviso liti e pensieri in camera di consiglio:
il lavoro di decidere i casi giudiziari, la sorte degli uomini, di cercare se possibile la pace, di gettare un ponte fra opposte fazioni.
Si decide di chiuderci dentro, in corridoio c'era ancora qualcuno,
entrano: alla fine siamo in sedici nella stanza, uomini e donne alla ricerca di notizie, chiusi a chiave, poi anche barricati con un tavolo, già che ci siamo. Una teste si sente male, ma non molto per fortuna.
Notizie zero. Mio figlio mi uozzappa e vedo che ne sa più lui che sta ad Edimburgo di me che sono qui chiuso ed isolato.
Internet ci manda notizie, i telefoni del palazzo nulla; qualcuno è stato sfollato fuori e vuole notizie da dentro, ma noi stiamo qui chiusi dentro un microcosmo sicuro.
I ruoli si sciolgono, non più giudice, non più avvocati o testimoni, solo uomini e donne a riflettere sulla morte sul lavoro sulla giustizia e la ingiustizia, per passione, abitudine, non più per lavoro.
Telefonate discrete, mai urlate, molto educate a figli, mariti, mogli, non si sa anche amanti, colleghi di studio: "guarda ritardo .." "ma lo so benissimo che in Tribunale si è sparato"
Il figlio di una donna le dice assolutamente di non uscire, lei lo segue e consulta felice di avere una guida che ritiene affidabile.
I più coraggiosi origliano, fuori è silenzio per parecchio tempo, un'ora forse.
La mail del presidente del Tribunale dice di chiudersi in stanza: già fatto, obbediamo convinti.
Si ricorda Fernando, io cerco di illudermi che non sia morto, poi internet dice che non è così. Cordoglio, cordoglio di uomini e donne, le parti non sono più contrapposte, il ponte è gettato.
Esce il nome del colpevole, mi dice qualcosa, cerco nella fida consolle e lo trovo, ho fatto io la sentenza, che ormai poco interessava dopo il fallimento della società, ma lui aveva insistito a chiedere danni; i soci lo accusavano di aver intascato fondi sociaell prelevati dal "nero"
lui diceva che in realtà si era ripreso soldi che aveva messo prima nella società, chiede danni agli altri. Poi la società è fallita, facile che ne sia nato il processo di bancarotta di cui parla la rete. Io spero di non essere il prossimo della lista, visto che ancora non lo hanno preso, non so se dirlo a chi è con me, non vorrei che la signora che si sente male o quella che si consulta con il figlio si prendessero paura.
Nel frattempo ho segnalato per vie traverse a una eroica funzionaria, che pare coordinare le operazioni, che siamo in 16 e una signora accusa malessere. Non so se sia stata lei, ma dopo poco arriva qualcuno la polizia; poco prima si era saputo che era stato preso nell'hinterland a Vimercate e mi sento scemo per essermi chiuso in stanza per paura di un fuggiasco lontano da tempo.
Usciamo, finisco il verbale rinviando tutto. Arriva l'avvocato della causa dopo, da dove? "Ero chiuso in Cancelleria" e quasi sorride "non faccio mai giudiziale, che fortuna oggi".
Tipo simpatico, dopo quel che abbiamo vissuto il clima è quasi amichevole, mi dice che una possibilità di transazione forse esisterebbe, ma chissà dove si è rifugiato il collega di controparte?
Telefona: era lì vicino ma è andato via, chi potrebbe rimproverarlo?
Alla fine rinvio: ci vediamo fra un mese, senza testi, si cerca un accordo, la causa è per me nuova, il provvedimento istruttorio era di ammissione di tutte le prove genericamente e mi pare da rivedere.
Si torna al lavoro, alla normalità spero di no, spero che sia una normalità diversa, di non perdere il clima di quella stanza, non per la paura - non ne avevamo tanta - ma per il ponte gettato.
Che non sia una normalità di lotta e di spari, veri o metaforici, che i controlli siano controlli. Nella esperienza di molti giudici ci sono liti, aggresisoni avvenute anche nei nostri uffici, ricordiamo Varese, Reggio emilia, ma molt di noi hanno ricevuto visite poco piacevoli di parti irragionevoli.
Questo non deve essere più la normalità.
Al pomeriggio sento il Presidente della Repubblica che dice che non bisogna gettare discredito sulla magistratura e lo strano è che ci sia bisogno di ricordarlo.
Ma è così dal discredito alla aggressione il passo è breve.
Strano perchè in quella stanza nessuno si sognava di farlo; avevo dimenticato quel che è stato nei mesi scorsi, meglio molto meglio dimenticarlo.
Passo davanti alla stanza di Fernando e vedo i sigilli dei Carabinieri, in croce.
E' morto Fernando, mentre faceva il giudice perchè aveva fatto il giudice, bene o male che lo abbia fatto non importa più, era lo Stato quando faceva il giudice e per questo solo già merita rispetto. So che a qualcuno questo rispetto sarà costato, ma è dovuto comunque perchè è dovuto allo Stato, alla cosa comune, alla giustizia che rappresenta. e noi tutti abbiamo il dovere di esigerlo.
E' morto, senza aver del tutto digerito il processo telematico, è morto a pochi mesi dalla pensione che forse non voleva, è morto senza aver preso il caffè e dopo la ennesima ricusazione di chi non capisce cosa è un giudice.
E' morto, ma mi ha regalato la esperienza della stanza divisa in sedici; lo ricorderò sempre, con affetto.
Ciao Fernando


Enrico Consolandi - già giudice della ottava sezione civile del Tribunale di Milano, già presieduta da Fernando Ciampi

giovedì 9 aprile 2015

CAPRI ESPIATORI


Rabbia e dolore di fronte alla follia di quanto accaduto oggi nel palazzo di giustizia (?!) di Milano.

Rabbia e dolore per la vita perduta di persone che svolgevano il loro dovere (di magistrato, di avvocato, di testimone).

Rabbia e dolore perché una simile follia omicida si è potuta perpetuare in un luogo che deve essere simbolo di legalità e sicurezza, anzitutto per chi vi lavora esponendosi ogni giorno: giudici, pm, avvocati, personale amministrativo.

Gli interrogativi sono molti e confidiamo che venga fatta chiarezza su dinamica e responsabilità di quanto accaduto.

Occorre però da subito riflettere su quanto si è seminato negli ultimi decenni, con un dibattito politico che ha delegittimato, accusato, irriso la magistratura, le istituzioni e la giustizia intera. 
Sono state indebolite le fondamenta della convivenza democratica, si è giocato al tanto peggio tanto meglio facendo propaganda e non risolvendo i problemi dei cittadini, la cui frustrazione e il cui isolamento viene sfruttato per raccogliere facili consensi e non per lavorare a soluzioni possibili. 

I magistrati, ma anche gli avvocati in altro modo e tutti gli operatori dei palazzi di giustizia, si sono così trovati soli, capri espiatori esposti in un sistema allo sfascio

La magistratura continuerà a fare il suo dovere, ma spero che da oggi qualcuno in più capisca che la nostra sicurezza e indipendenza non sono privilegi ma requisiti essenziali per fare giurisdizione. Allo stesso tempo bisogna finalmente fare ciò che serve per dare giustizia e per recuperare autorevolezza e fiducia.

Come magistrato, che ogni giorno scontenta decine di persone (molte delle quali sull'orlo di una crisi di nervi, per non dire altro), non sono interessato a ipocrita solidarietà ma nemmeno credo sia il momento di alzare i toni e fare polemiche strumentali.
Dobbiamo restare uniti e comprendere che la solidità delle istituzioni è causa e conseguenza della fiducia che queste devono avere (e meritare).

Chiediamo tutti sicurezza, rispetto, ascolto, serietà e volontà di dialogo. 
Il dovere di ciascuno sarà il mezzo per i diritti di tutti.

Lo chiediamo perché la legalità è il cemento della democrazia e il baluardo della libertà.
Lo chiediamo per tutti coloro che provano ogni giorno a fare il loro dovere nei palazzi di giustizia.