martedì 26 maggio 2015

UNA RONDINE IN TRIBUNALE

Con il consenso della collega Elisabetta Morosini, magistrato del Tribunale di Pesaro, condivido qui il suo bellissimo racconto. 
Sarebbe piaciuto molto a Marcovaldo...


È una storia accaduta poco fa in Tribunale, nel Tribunale di Pesaro.
Il Palazzo di Giustizia è un palazzo molto bello, soprattutto all’interno, costruito su progetto dell’architetto Carlo De Carlo.
Colori caldi, vetrate ampie anche sul tetto da cui entra la luce del sole, un giardino interno verde verde, un altro giardino, esterno, pensile.
Oggi, nel primo pomeriggio, improvvisamente, è spuntata una rondine, più precisamente un rondone, che volava dentro il Tribunale.
Volava, volava, senza stancarsi mai.
Eravamo pochi nel palazzo di Giustizia, nessuno riusciva a portare avanti il suo lavoro.
Quel volo ci attirava, ci ipnotizzava. Stavamo lì, con la faccia all’insù a osservare il rondone che volava, volava, dopo un’ora, dopo due ore.
Abbiamo aperto tutto il possibile, purtroppo ci sono tante vetrate, ma pochissime finestre, ragioni di sicurezza. Le finestre sono negli uffici e il rondone non ne voleva sapere di passare sotto una porta.
I vigili del fuoco non arrivavano, solo dopo diverso tempo abbiamo scoperto che erano dovuti intervenire altrove per una grossa frana in atto.
Ci viene detto che per prenderlo bisogna farlo stancare, aspettare che sia indebolito dalla fame e dalla sete, ci vorranno almeno 24 ore. Questo era un grosso problema, sia per me, che non potevo pensare di affamare e assetare un animale, sia per la sicurezza che non avrebbe potuto inserire l’allarme in Tribunale.
Finalmente l’idea che si è rivelata vincente.
Chiamo Mauro, un ispettore della Forestale in pensione, un grande uomo con un grande cuore, sempre disponibile ad ascoltarmi quando devo risolvere problemi con gli animali.
L’ispettore mi mette in contatto con il Cras della Provincia di Pesaro e Urbino – centro recupero animali selvatici.
Arrivano subito due uomini del centro: Roberto e un suo giovane collega (che chiamerò Andrea).
Danno uno sguardo al posto, sono un po’ perplessi: il rondone vola in alto, al centro del palazzo, è difficile prenderlo.
Comunque non si danno per vinti, prendono un grosso retino, salgono al terzo piano e provano a intrappolare l’estraneo.
Il rondone non ha intenzione di farsi beccare, è furbo, evita la rete, compiendo agili evoluzioni.
Ad un certo punto Roberto si pone sopra una passerella, che conduce al 4° piano, il piano sospeso al centro del palazzo, quello dove c’è la biblioteca.
Il rondone passa proprio di lì, trattengo il fiato, non guardo.
Roberto lo prende al volo, stando attento a farlo cadere sul pavimento vicino a lui e non di sotto.
Poi lo estrae dalla rete e lo prende in mano, me lo fa vedere: è così bello e anche tanto spaventato; il cuore gli batte fortissimo, quasi volesse uscirgli dal petto.
Con un po’ di apprensione domando a Andrea: 

“Adesso che cosa gli fate?”
Il ragazzo allarga il viso in un sorriso e mi risponde: “dottoressa, cosa vuole che facciamo? Lo liberiamo!”
Ho chiesto: “Gli posso dare un nome?”.
Oggi è il 23 maggio, 23 anni fa alle ore 17,58, a Capaci, la strada si è aperta e ha inghiottito la vita di Giovanni. Con lui sono morti Francesca, Antonio, Rocco e Vito.
Oggi c’era un rondone a Pesaro, in Tribunale. Io lo guardavo e sapevo già che nome dargli. Sono le 17,58 e quel rondone sta volando libero nel cielo, insieme ai suoi amici.

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