giovedì 12 marzo 2015

L'ABUSO POLITICO ED ETICO DI UN PROCESSO

La conferma da parte della Cassazione dell'assoluzione ottenuta in Appello da Berlusconi è l'ennesima occasione per commenti fuori luogo, tifo, reazioni strampalate e strumentalizzazioni.

Provando ad astrarre un attimo dal caso concreto, vorrei che questa potesse essere invece l'occasione per riflettere sulle ragioni di un processo e su quello che chiamerei il suo abuso politico ed etico. 

Il processo non è una gara che si corre solo per vincere.
Naturalmente, facendo il Pubblico Ministero devo sottoporre a una severa critica le prove da me raccolte in fase di indagini prima di esercitare l'azione penale e chiedere un processo. Lo faccio e lo devo fare anzitutto per non accusare ingiustamente alcuno ed evitare le fatiche, gli stress e i disagi di un processo. Inoltre lo devo fare per evitare che lo Stato investa tempo, denaro e risorse umane in un processo che non arriverà ad alcun effetto concreto.
Tuttavia ho l'obbligo dell'azione penale ogni volta che ritengo di aver raccolto elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio. 
E' un obbligo da prendere sul serio perché da questo discende in gran parte l'uguaglianza dei cittadini davanti all'autorità giudiziaria e alla legge.

Attenzione: prima del processo posso avere convinzioni più o meno solide, ma la verità processuale può e deve emergere proprio solo nel contraddittorio (confronto dialettico) del dibattimento, dove si formeranno le prove e si discuteranno le questioni giuridiche.

C'è la presunzione di non colpevolezza fino al giudizio definitivo e per arrivare ad una condanna normalmente ci vogliono tutti e tre i gradi di giudizio: è evidente che questo meccanismo prudente e complesso esiste non come orpello bizantino e burocratico, ma perché la storia del diritto e l'esperienza quotidiana ci insegnano che la ricerca della verità processuale è questione complicata che ha bisogno di regole e controlli successivi.

Non voglio dire che quindi tutti i Pm facciano bene a fare i processi anche quando questi terminano con un'assoluzione... anzi! Però è fisiologico che qualche azione penale non porti ad una condanna: il sistema non è fatto per condannare ad ogni costo qualcuno per ogni reato, ma per evitare che un solo innocente sia condannato.
Per questa stessa ragione lo standard di prova del processo penale è altissimo e basta un dubbio ragionevole per poter pervenire ad un proscioglimento.

A questo va aggiunto che tutti i processi contro i potenti sono inevitabilmente più complicati: sia perché spesso si tratta di vicende tecnicamente articolate, sia perché il potente ha grandi capacità di difesa.
La dovuta prudenza nell'esercizio dell'azione penale non può diventare però timidezza, altrimenti non faremmo mai i processi più difficili ma perseguiremmo soltanto emarginati e poveracci che vengono colti in flagranza di banali delitti...

Pensate ad esempio ad un processo per abuso ad un minore.
Io mi occupo di queste vicende ed esse hanno un tasso di difficoltà e di rischio di assoluzione molto alto, proprio perché purtroppo normalmente l'unica prova diretta è la testimonianza della vittima e non sempre si riesce a dare riscontri o a sostenerla dal punto di vista psicologico. Questo evidentemente non ci può però esimere da impegnarci al massimo per cercare di ottenere un accertamento processuale per dare risposta di giustizia a vicende tanto gravi.
La linea tra un processo che si deve fare e uno che va evitato esiste, e infatti non sono poche le archiviazioni...,, tuttavia è una linea indefinita, labile e in parte soggettiva. 

Nel caso di Berlusconi vi erano elementi di fatto e di diritto complessi e delicati, tanto che la Procura e i giudici di primo grado si sono convinti della colpevolezza, mentre i loro colleghi di Appello e Cassazione hanno ritenuto, per esempio, che non vi fosse la prova che Berlusconi sapesse della minore età di Ruby quando questa si prostituiva.

Se solo sapessimo evitare prima le strumentazioni politiche di un processo e poi quelle etiche.... allora lasceremmo alla giustizia fare il suo delicato compito, tenendo il dibattito politico e il giudizio etico fuori dalla vicenda.
Ed invece pare che, a seconda dei punti di vista e dei gusti, fare o non fare un processo debba essere letto politicamente... o anche che un'assoluzione diventi una patente di comportamento etico, cosa che evidentemente non è (specie se si vanno a leggere le motivazioni...).

Il processo è stato tirato troppo per la giacchetta, come fosse una bandiera.
E invece è un arbitro.
L'arbitro non ci dice chi merita di vincere o chi è più forte. Nemmeno ci dice se quel giocatore è corretto o meno.
All'arbitro spetta solo il delicato compito di applicare le regole ai comportamenti durante le partite.
E' un compito già abbastanza difficile, senza che gli chiediamo anche di fare il Salvatore della Patria.

Allora lasciamo perdere foghe giustizialiste e celebrazioni da bar per una vicenda che comunque non fa onore al nostro Paese e per un processo che è difficile dire che non si dovesse fare in partenza... a meno che non si intenda dire che certe persone non vanno processate perchè sono potenti o importanti o simpatiche o antipatiche.

La serietà e la sobrietà con cui giornalisti, politici e cittadini comuni seguono le vicende giudiziarie sono elementi essenziali per recuperare fiducia e credibilità alla giustizia e alla legalità.

E senza legalità, badate bene, non avremo mai vera libertà e vera democrazia.

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