"the problems we all live with" di norman rockwell

sabato 29 dicembre 2018

Riprendiamoci lo Sport

Credo che il problema dello Sport in Italia sia molto più ampio e profondo dei singoli beceri episodi di cori razzisti o del singolo grave delitto.

È il problema di un Paese che si è arreso da anni all'ignoranza e alla volgarità, che è indulgente verso l'intolleranza, che non conosce più il rispetto e il garbo, in cui non esiste quasi più confronto e dialogo sui fatti ma solo polemica.
È un Paese che spesso scambia la faziosità estremista con il tifo.
La faziosità è la pregiudiziale proiezione di chi, debole di idee, trova solo nella contrapposizione un simulacro di identità.
Il tifo è passione e tradizione, una specie di infatuazione perenne e di amore per la competizione e per un simbolo a cui ci leghiamo, ma che non ci impedisce di riconoscere i nostri limiti e di apprezzare i meriti altrui.
Un Paese dove chi perde ha sempre sbagliato, mentre la sconfitta è parte necessaria di ogni percorso sportivo e momento imprescindibile per imparare e per riconoscere il valore del nostro avversario.
Non è (sol)tanto un problema delle curve o di ordine pubblico ma una questione di civiltà, di educazione ed un termometro dello stato di equilibrio e serenità di un popolo.
La febbre è alta perché abbiamo perso il senso della passione, perché l'insulto prevale sull'incoraggiamento, perché siamo svuotati di valori e allora ci attacchiamo alle bandiere facendole diventare motivo di scontro invece che celebrazione gioiosa della diversità.

Lo sport deve tornare ad essere un'occasione di educazione al rispetto dell'avversario e delle regole, allo stare in gruppo, all'etica del lavoro.

Non è un nodo che si possa sciogliere con una regola in più o qualche dimostrazione muscolare di fermezza: occorre un profondo ripensamento collettivo.

Ripensamento? Profondità? Collettività?
Tre concetti dimenticati nella nostra povera Italia che oggi pare dominata solo da slogan, ignoranza e personalismi.

Lo Sport può essere immagine del sogno costituzionale, in cui tutti hanno l'opportunità di realizzarsi e contribuire al percorso collettivo di un benessere condiviso, di una libertà solidale.
Cominciamo da subito.
Cominciamo da noi.

martedì 6 novembre 2018

La PRESCRIZIONE e l'INGANNO delle SCORCIATOIE

La proposta avanzata dal M5S di bloccare definitivamente il decorso della prescrizione dopo la decisione di primo grado è per un verso troppo e per altro verso troppo poco per risolvere i tanti gravi problemi che affliggono la giustizia italiana.

La prescrizione è un istituto giuridico che determina, nel caso del processo penale, l'estinzione del reato decorso un determinato numero di anni.
Questo effetto è collegato al fatto che lo Stato dopo un certo numero di anni perde interesse alla sua pretesa punitiva e per altro verso garantisce il diritto all'oblio del cittadino, che altrimenti rischia di vedersi indagato prima e imputato poi per un numero indefinito e potenzialmente abnorme di anni.

Va fatta una premessa: per molti reati gravi il rischio di prescrizione è oggi in realtà assai contenuto
Violenza sessuale, rapina, bancarotta, riciclaggio, corruzione, omicidio anche colposo... sono tutti delitti che in gergo si dice che non si prescrivono mai, perché il termine è collegato alla pena massima prevista più un aumento di un quarto e questo mette al riparo salvo gravissimi ritardi e inefficienze.
Inoltre è anche vero che la maggior parte dei reati si prescrive in fase di indagini, vanificando quindi l'effetto della norma che si vorrebbe introdurre.
Tuttavia non mancano casi di prescrizione in corso di giudizio e anche nei gradi successivi al primo e questo è oggettivamente un fatto patologico che va affrontato perché vuol dire vanificare anni di indagini e processo.

Interrompere la prescrizione mi pare tuttavia una scorciatoia ingannevole e sbagliata, ancor più se intrapresa mediante un emendamento e senza una riflessione più ampia che consenta una riforma organica.

Il vero obiettivo di tutti dovrebbe essere quello di garantire una durata ragionevole del processo ma ciò non si può ottenere con la leva della prescrizione, che anzi rischia di giustificare rinvii ancora più lunghi.

L'interruzione definitiva della prescrizione è troppo perché nel sistema attuale crea il concreto rischio che i cittadini restino indagati e sospesi alla pretesa punitiva dello Stato per anni... e ciò è in contrasto non solo con la ragionevole durata del processo ma anche con la pretesa di effettività e rieducazione della pena. 
Pensate a un uomo sposato e che lavora e che si vede condannare magari 15/20 anni dopo per reati commessi quando era un ragazzo da poco maggiorenne (attenzione, vi ricordo che i reati più gravi hanno comunque una prescrizione davvero lunga; per esempio la violenza sessuale non aggravata si prescrive in 12 anni e mezzo, la rapina in 25, il riciclaggio in 15...).

L'interruzione definitiva della prescrizione è troppo poco perché non aiuta in concreto a dare una risposta di giustizia effettiva ed efficace, perché anche la collettività e le vittime di un delitto possono sentirsi tutelate davvero solo se la risposta dell'ordinamento arriva in tempi ragionevoli. La complessità del processo e la delicatezza delle sue conseguenze non possono certo consentire frettolosità o superficialità, ma va trovato un punto di equilibrio .

Ancora una volta la politica cerca la scorciatoia, lo slogan facile, le tre righe con cui far credere di aver risolto i problemi.
Occorrono invece riforme complessive, meditate, condivise, precedute da un vero confronto tra gli operatori e la politica.

Faccio qualche esempio su cui quotidianamente riscontro spesso molti punti di possibile accordo con gli avvocati:
. Riforma delle notifiche (per esempio richiedendone una formale e di persona all'inizio e poi stabilendo come obbligatoria la partecipazione al processo dell'imputato, limitando le notifiche solo a quelle telematiche al difensore dopo la prima)
. Riforma delle impugnazioni (consentire la riforma anche in peius in appello, evitando così le impugnazioni fatte solo per sperare in uno sconto di pena o nel rimandare il passaggio in giudicato, impedire il ricorso in Cassazione contro i patteggiamenti, ecc...)
. Riforma dei riti alternativi (aumentare i limiti con cui si può accedere ai patteggiamenti - oggi il massimo è 5 anni, differenziando anche lo sconto di pena tra abbreviato e patteggiamento stesso)
. Mutare la regola per cui il cambiamento di un solo giudice (su tre) possa condurre a dover rifare tutto il processo, però anche al tempo stesso chiedere a noi magistrati di garantire una maggiore stabilità e continuità negli uffici.
. Garantire un ufficio del magistrato che consenta a pubblici ministeri e giudici di lavorare meglio ed anche con una qualità più alta. Per esperienza posso dire che se un'indagine è fatta bene si evitano spesso lungaggini: perché magari approfondendo si capisce di dover archiviare evitando processi inutili e costosi; perché se le indagini sono complete la parte è indotta a confessare, collaborare, patteggiare o chiedere abbreviato; perché sarà più effettiva la risposta del sistema alle condotte illegali... 
. Mirare a un diritto penale minimo, ovvero dedicato solo ai fatti davvero più gravi, lasciando al diritto civile e a quello amministrativo le condotte meno gravi.

Faccio notare che se escludiamo la proposta del c.d. "ufficio del magistrato" ho citato tutte riforme a costo zero e che anzi garantirebbero un risparmio di tempi e di costi.

E' sempre più urgente che magistrati, avvocati e giuristi tutti si ascoltino e trovino un terreno comune per ridare credibilità al sistema giudiziario. 
L'effetto culturale delle inefficienze della giustizia è il senso di impunità per chi delinque e il senso di impotenza per le vittime: quel trionfo del furbo che tanti scoraggia e tanti corrompe.








giovedì 17 maggio 2018

Contratto e Giustizia: "poche idee ma ben confuse"

"poche idee ma ben confuse..."
Il mio insegnante di italiano al liceo fotografava con questa lapidaria espressione le perfomance meno convincenti in un'interrogazione... e queste parole mi sono tornate in mente leggendo l'ultima versione della bozza di contratto per la formazione del nuovo Governo tra M5S e Lega.
A parte qualche dichiarazione d'intento anche condivisibile ma generica, lasciano perplessi alcuni punti così come la totale mancanza di altri argomenti.

In generale i possibili soci della futura maggioranza sembrano voler dichiarare la fine del "diritto penale minimo", ovvero di quella corrente del diritto penale (maggioritaria anche in dottrina) che suggerisce un uso moderato del diritto penale quale extrema ratio.
Vengono infatti bollati come negativi provvedimenti che la maggior parte degli operatori hanno condiviso e che anzi avremmo voluto vedere ancor più sviluppati: quindi no a depenalizzazione e abrogazione, no a misure alternative alla detenzione, no alla non punibilità per tenuità del fatto, no al ricorso agli illeciti amministrativi...insomma, torniamo a mostrare i muscoli e usiamo il diritto penale come strumento di affermazione della legalità.

Qualcuno rispetto a questo approccio parla giustamente di "panpenalismo": il diritto penale come panacea di tutti mali, come strumento principe. 
Questa impostazione che vorrebbe dimostrare forza e autorevolezza è per un verso sbagliata nelle premesse e illusoria negli obiettivi.

L'eccessivo ricorso al processo penale e al carcere dimostra la volontà di essere autoritari ma non per questi autorevoli, non capendo che il recupero di legalità passa anzitutto attraverso cultura della legalità, educazione, trasparenza ed efficienza delle procedure
Soprattutto questo approccio contraddice l'altra volontà di fondo espressa dal contratto, ovvero quella che vorrebbe realizzare una giusta durata del processo.
Tale obiettivo, condiviso ovviamente da tutte le parti almeno come principio, non può certo essere perseguito aumentando il novero dei reati (e quindi dei processi) ed escludendo delle modalità di definizione alternative.
Per recuperare efficacia e quindi autorevolezza non abbiamo bisogno di altri processi, ma di farne di meno e meglio ed in tempi più effettivi

Allora è contraddittorio volere processi brevi e poi dire che si vuole abolire il rito abbreviato per i reati più gravi. Questa scelta determinerebbe un enorme aggravio dei Tribunali con altri processi impegnativi e lunghi e conseguente aumento dei tempi.

Sarebbe invece estremamente ragionevole semmai potenziare i riti alternativi, magari spingendo verso una maggiore appetibilità del patteggiamento (che oggi può essere fatto solo sino a 5 anni) e magari concedendo uno sconto di pena inferiore per il predetto rito abbreviato (con cui l'imputato rinuncia ad assumere le prove in contraddittorio).

Chi frequente le aule dei tribunali sa benissimo che sono proprio i riti alternativi a tenere in vita il sistema (infatti i tribunali in cui nessuno fa riti alternativi, magari anche per colpa di indagine lente e non complete, finiscono per collassare e non riescono a dare una risposta alla domanda di giustizia).
Chiarisco ulteriormente: uno degli obiettivi delle mie indagini è quella di fare un'attività di approfondimento completa così da indurre le difese a scegliere il rito alternativo. In questo modo ottengo risultati più sicuri e con un risparmio di decine di ore di lavoro e ottenendo sentenze definitive con anni di anticipo, contemporaneamente alleggerendo il carico dei dibattimenti.

Altra cosa che colpisce è l'assenza di attenzione verso i fenomeni della criminalità economica che danneggiano enormemente la crecita del Paese e le casse dell'Erario:bancarotte, frodi fiscali, riciclaggi...
Queste emergenze non vengono citate (ci sarebbe bisogno di nuove norme, nuove competenze, specializzazione degli operatori, strumenti di contrasto più snelli per evitare l'abuso delle persone giuridiche, ecc...), mentre si dedica attenzione ai reati di maggiore "allarme sociale", come i furti in abitazione...
L'allarme sociale va ascoltato ma forse andrebbe anche spiegato ai cittadini che una bancarotta di 30 milioni o una frode fiscale per 10 milioni (come ne sto vedendo ogni anno io nel mio ufficio) sono fenomeni assai più dannosi per la collettività...

Quindi panpenalismo da un lato e diritto penale delle favelas dall'altro (come definito da Scarpinato), ovvero un diritto penale dedicato ai reati di chi è già ai margini delle società e non sa essere altrettanto efficace e credibile verso i colletti bianchi, la criminalità economica e del potere.

Sono assolutamente convinto dalla mia esperienza sul campo in questi anni che il miglior contrasto alla penetrazione mafiosa in particolare al nord passa principalmente proprio attraverso un efficace controllo di legalità nella materia societaria, fallimentare e tributaria.

Lascia allora un po' perplessi vedere che si dedica anche qualche riga alla tutela degli animali (che io adoro, avendo un cane e un gatto, sia chiaro...), che francamente non mi pare essere l'emergenza del Paese, soprattutto se si vogliono liberare le risorse sane e recuperare i profitti illeciti a fronte degli enormi costi del resto del programma di Governo.

Mancano poi idee e indicazioni su come far effettivamente viaggiare più veloce la macchina della giustizia, che è il problema dei problemi. Inutile aumentare pene o minacciare il carcere se i dibattimenti sono troppi e durano anni, se le Procure sono affossate da migliaia di denunce anche per fatti bagatellari, se la procedura non viene semplificata e razionalizzata.

Siamo solo alla preparazione della nascita di un possibile nuovo Governo, ma le idee appaiono purtroppo poche e ben confuse.

Infine, il programma di riforma della giustizia e in particolare della giustizia penale non dovrebbe essere proprietà del Governo, essendo attribuito al Parlamento, al potere legislativo. Proprio la materia penale è riservata alla legge parlamentare dalla Costituzione, non volendosi affidare un tema tanto delicato alle scelte del Governo (che cerca di farlo persino a volte con i decreti legge).
Questo problema di metodo è solo il sintomo di un problema più vasto e sistematico: nel nostro Paese stiamo perdendo la separazione tra potere esecutivo e potere legislativo...e per di più  lo stiamo facendo a discapito del secondo, laddove semmai i Padri Costituenti volevano la centralità del Parlamento anche come maggiore garanzia di democrazia e di tutela delle minoranze.

Speriamo che alcuni toni da campagna elettorale vengano messi da parte e si torni a confrontarci e ragionare su ciò che davvero è utile, urgente, possibile, determinante per recuperare legalità in un Paese ferito dalla criminalità e inaridito dalla sfiducia nella giustizia.

Good night and good luck

domenica 25 marzo 2018

Il Vero Scandalo e la Memoria Scomoda

Condivido (in ogni senso) il comunicato della giunta Anm Ligure dell'Anm ed esprimo anche la mia personale solidarietà a Enrico Zucca.

Il ricordare dei fatti acclarati in sentenze definitive non può mai essere uno scandalo.
Lo scandalo è semmai constatare che chi si è reso responsabile di gravi reati e di fatti definiti come tortura dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo non solo non venga rimosso dai propri incarichi, ma in diversi casi abbia ottenuto anzi promozioni...

La successiva considerazione fatta dal collega che questi fatti potrebbero indebolire la posizione del nostro Paese nei confronti dell'Egitto sulla questione Regeni mi pare molto più che ragionevole... 

L'ipocrisia non aiuta e tanto meno se si deve chiedere il rispetto dei diritti umani.

La Giunta distrettuale Ligure dell’ANM
Preso atto delle critiche e delle annunciate iniziative disciplinari o para-disciplinari nei confronti del collega Enrico Zucca in relazione ai contenuti di un suo intervento nel corso di un convegno organizzato dall’Ordine degli Avvocati, il cui audio-video può essere reperito sul web, dichiarazioni di cui i titoli di stampa e i lanci di agenzia hanno riprodotto solo parzialmente il senso e il contenuto;
osservato che quanto ricordato dal collega altro non è che quanto riportato in varie sentenze della CEDU ed in particolare nelle sentenze del 7 aprile 2015 (Cestaro c. Italia relativa all’irruzione presso la scuola Diaz) e del 26 ottobre 2017 (Azzolina e altri c.Italia relativa ai fatti avvenuti presso la Caserma di Bolzaneto), reperibili sul sito www.giustizia.it del Ministero della Giustizia;
ricordato che tali sentenze hanno acclarato in via definitiva che alcuni funzionari ai vertici della Polizia italiana hanno coperto persone che si sono rese responsabili di tortura e che espressamente la sentenza Cestaro ha sottolineato che in caso di condanna vanno rimossi gli imputati per reati che implicano dei maltrattamenti, circostanza su cui il governo stesso non ha fornito informazioni alla Cedu (cfr. sentenza Azzolina);
esprime solidarietà al collega Zucca cui si addebita, in realtà, di avere ricordato fatti e circostanze oggettive, che sono appurati in via definitiva dalla giurisdizione italiana e sono riportati in una sentenza della Cedu, fatti che hanno condotto alla condanna dell’Italia e che sono fonte di elevati risarcimenti a carico dell’erario per i danni subiti dalle vittime;
evidenzia che l’intervento è stato improntato a equilibrio, dignità e misura come prescritto dal codice etico dell’ANM: le valutazioni personali in ordine alla incidenza di tali fatti rispetto alle tragiche recenti vicende avvenute in Egitto, che senza dubbio non si riferiscono ai vertici della polizia in modo generalizzato, sono opinioni che possono non essere condivise nel merito, ma non possono essere definite oltraggiose quando espongono fatti storici appurati con sentenze della Repubblica Italiana.
La Giunta Distrettuale ritiene pertanto estremamente grave ciò che è realmente sotteso ad alcuni interventi censori, ossia che il solo citare una sentenza della Corte di Giustizia Europea, per di più in maniera corretta e misurata, possa essere ritenuto fonte di responsabilità disciplinare: se fosse stabilito tale principio qualunque magistrato italiano che cita una sentenza scomoda, addirittura in giudicato, sarebbe a rischio.
Le citate sentenze evocano vicende che ancora, a distanza di anni, costituiscono una ferita aperta nella coscienza nazionale, vicende che è legittimo voler affrontare e non rimuovere, applicando fino in fondo le leggi, senza che tale volontà possa essere contrastata con la censura di chi la esprime.
LA GIUNTA UNITARIA DISTRETTUALE
ANM - LIGURIA

venerdì 2 febbraio 2018

In difesa del dialogo

Una degli aspetti più deteriori e avvilenti del dibattito politico di questi anni ed anche di questa campagna elettorale è lo sprezzante linguaggio con cui si parla di accordi.

So bene che i comportamenti incoerenti, i compromessi al ribasso e i negoziati volti solo a conservare il potere hanno alimentato la convinzione che ogni forma di dialogo nasconda solo le peggiori intenzioni.
Questa sfiducia non è immotivata ma ci sta inducendo a pensare che la soluzione sia che chi vince prende tutto e che il confronto con chi la pensa diversamente sia solo un segno di debolezza o peggio.

La politica dovrebbe invece dimostrare che un accordo, per quanto faticoso e difficile, può essere un momento di sintesi e crescita, un mettere insieme più idee, un trovare il terreno condiviso. Anzi, la politica, quando si declina al meglio come arte del possibile e cura delle questioni che riguardano la collettività, si manifesta proprio tipicamente attraverso il confronto.

L'idea per cui ogni dialogo sia automaticamente un inciucio e un imperdonabile arretramento rispetto ai propri progetti conduce a una visione della società divisa, frammentata, in conflitto permanente, dove non si cerca il molto che ci ci potrebbe unire ma sempre quello che ci differenzia e distingue.

Fromm in "Fuga dalla libertà" dimostrò che questa dinamica è figlia del bisogno di identità, della paura che essere liberi, in tempi di cambiamento e sfide spaventose, ci renda più vulnerabili. Ma la storia europea degli anni '30 e '40 dovrebbe averci insegnato bene dove conduce questa logica identitaria e settaria, questo conflitto permanente, questo disprezzo per chi è diverso anche solo perché la pensa diversamente...

Anche l'eterno dibattito sulla riforma della legge elettorale sembra spesso polarizzato tra chi tenta di trovare una formula per far vincere qualcuno anche se non ha la maggioranza e chi tenta di non far vincere nessuno perché sa che perderà dall'altro. 
Una buona legge elettorale, invece, dovrebbe semplicemente consentire una corretta rappresentazione del panorama politico del Paese aiutando al contempo a rendere funzionali le istituzioni, ma senza forzature di quella che è la reale composizione dell'opinione pubblica.

La Costituzione è il massimo esempio del dialogo come sintesi alta e non come compromesso al ribasso: ogni articolo è figlio di una discussione profonda tra concezioni molto diverse ma che hanno saputo trovare un terreno comune attorno alle idee fondamentali di democrazia, libertà e solidarietà.

Questa capacità di dialogare e confrontarsi non è solo un metodo più raccomandabile perché siamo oggettivamente un Paese frammentato; è anche la strada maestra per costruire un progetto di comunità che sia davvero realizzabile perché in esso una vasta parte della popolazione si può riconoscere. Un progetto inclusivo e condiviso e non un'affermazione muscolare di una maggioranza (e magari di una maggioranza solo relativa in un Paese in cui il primo partito rischia di essere l'astensione).

Sono convinto che un politico sia più forte se sa riconoscere le ragioni e gli argomenti degli altri, se sa ammettere i propri i limiti e imparare dai propri errori, se sa arricchirsi delle esperienze fatte anche da chi è differente ma condivide la medesima Costituzione e vive nel medesimo Paese. Certo, c'è il tempo della polemica forte e della protesta intransigente, ma non può essere la regola, nel tentativo costante di delegittimare l'avversario politico.

Le istituzioni e la democrazia hanno un bisogno estremo di persone che, a qualsiasi partito o movimento appartengano, sappiano ascoltare, ragionare, confrontarsi nel merito e sulle idee nell'interesse della collettività.
Perché vedete, alla fine, destinatari delle scelte del Parlamento e del Governo siamo tutti noi e non solo gli elettori di chi ha vinto in questa o in quella occasione.

Recuperare questa capacità di cercare ciò che ci avvicina sarebbe decisivo per tornare a essere davvero un popolo, e non una massa spesso impaurita o arrabbiata che si muove sulla base dei propri timori e non delle speranze di costruire un futuro migliore e diverso.