Scioperare o non scioperare contro la riforma della
giustizia appena approvata dalla Camera?
Io sono convinto che sarebbe un errore scioperare, un
ulteriore passo verso l’isolamento dal Paese. Un errore di metodo anzitutto, perché
non aiuterebbe a spiegare le nostre ragioni fornendo facile occasione ai
detrattori per strumentalizzare la polemica. Ma anche un errore di merito e di
contenuto, perché la riforma ha limiti e difetti, ma non possiamo negare che affronti
dei problemi reali.
Il rischio della magistratura non è semplicemente di non essere
compresa, ma che gran parte dei cittadini pensino di aver invece capito benissimo,
perché la perdita di fiducia e di credibilità è una ferita aperta ed è sotto
gli occhi di chiunque li voglia aprire.
Il problema è che la fiducia non è un optional per chi fa il
mestiere del giudice o del Pubblico Ministero; la credibilità per noi è una
necessità.
Le leggi, così come le sentenze, sono pezzi di carta, inermi:
è vero che ci sono i modi per far sanzionare le violazioni e far eseguire le
decisioni, ma un sistema funziona e regge solo fino a quando la maggioranza è
persuasa della sua legittimità.
Indubbiamente la riforma che verrà ora discussa in Senato presente
dei rischi e delle criticità… soprattutto quelle magistralmente spiegate da
Ferrarella in un articolo dei giorni scorsi sul Corriere della Sera:
enfatizzare i numeri e il dato della tenuta delle decisioni e delle indagini può
spingere verso un modello di magistrato timido, conformista, che cerca il
consenso invece della verità processuale, che non osa innovare l’interpretazione,
che evita l’indagine scomoda. In definitiva, un burocrate dedito al mero
mantenimento dello status quo e non l’espressione autonoma e indipendente del
potere giurisdizionale, un attore vivo della realizzazione del disegno
costituzionale.
Questo grave rischio va spiegato e denunciato, ma è anche vero
che il presente è pieno di problemi evidenti che da troppo tempo non abbiamo dimostrato
di saper o di voler risolvere: il carrierismo, le degenerazioni correntizie, l’incapacità
di far emergere le criticità al momento delle valutazioni di professionalità,
un’organizzazione non sempre all’altezza…
Con atteggiamento di retroguardia, ci nascondiamo dietro a
grandi ideali, dimenticando di assumerci le nostre responsabilità e di
affrontare davvero le criticità che hanno minato la nostra credibilità.
Il “NO” non basta più… ed era prevedibile che intervenisse
la politica, questa volta sulla spinta del PNRR.
Penso che parte della politica creda davvero che la riforma
possa migliorare le cose, anche se certamente una componente non trascurabile è
mossa anche da intenti punitivi e da un desiderio non troppo celato di “rimettere
al suo posto” la magistratura dopo una lunga stagione di espansione della sua
forza di intervento (o presunta tale).
Di fronte a questo scenario sono convinto che l’unica strada
sia quella di raccogliere la sfida e portare proposte concrete, comunicando ai
cittadini che non abbiamo paura di assumerci le nostre responsabilità e però
chiediamo anche di essere messi in condizione di lavorare meglio e di difendere
la nostra autonomia e indipendenza, perché queste ultime non sono privilegi di
una casta ma garanzie indispensabili per i cittadini e per la piena affermazione dello stato di
diritto.
E allora, invece dello sciopero, apriamo i nostri uffici,
incontriamo i cittadini, dialoghiamo con l’avvocatura e tutta la società,
spieghiamo le peculiarità e difficoltà del nostro lavoro, facciamoci promotori
di proposte coraggiose di apertura e rinnovamento.
Qualche esempio?
1) accogliamo l’ingresso degli avvocati anche nelle sessioni dei Consigli Giudiziari che si occupano di valutazione di professionalità dei magistrati, chiedendo al tempo stesso che vengano ampliate e stimolate le fonti di conoscenza, perché altrimenti non riusciremo a far emergere il vero profilo
2) chiediamo noi per primi i numeri sulla tenuta delle nostre decisioni e delle nostre indagini nei tre gradi (la vera assurdità è che non li abbiamo mai avuti!), ma non (sol)tanto per dare un ulteriore elemento di conoscenza nel contesto della valutazione, ma soprattutto per conoscere meglio il nostro lavoro e migliorare con l’esperienza
3) chiediamo che venga smantellato il sistema di carriere interne che sta svuotando di significato l’enunciato costituzionale per cui dovremmo distinguerci solo per funzioni: meno posti direttivi e semidirettivi e soprattutto un tendenziale obbligo di tornare alle funzioni “semplici” dopo aver dato il proprio servizio negli incarichi dirigenziali e organizzativi
4) apriamo una grande discussione per migliorare il percorso che porta alla selezione e all’accesso in magistratura; oggi ci sono a mio modo di vedere almeno due grandi problemi da risolvere:
o
i tempi verso il traguardo finale del
concorso sono tali da dare un vantaggio a chi proviene da famiglie più agiate che
si possono sostenere gli studi e poi altri anni di tirocinio senza guadagni e con
entrate del tutto modeste e precarie
o
la selezione è tutta focalizzata sulla
preparazione giuridica e ciò non consente di esaminare altre doti essenziali
per essere un buon magistrato, quali l’organizzazione, l’equilibrio, la capacità
di lavorare in gruppo, ecc… (le c.d. “soft skills”)
Si potrebbe andare avanti ma sto già abusando della pazienza
del lettore. Quello che però non possiamo fare è stare fermi o tornare
indietro.
Il Paese ha bisogno di una magistratura responsabile,
moderna, efficiente e assolutamente indipendente e autonoma dal potere politico.
Lo scandalo “Palamara” ha messo giustamente al centro le
degenerazioni del nostro sistema di autogoverno, ma è allarmante notare che, sull’altro
versante, la politica non abbia invece fatto alcun esame di coscienza,
nonostante il fatto più grave emerso fosse probabilmente quello per cui alcuni
politici stavano cercando di condizionare la scelta del dirigente della Procura
di Roma…
Basterebbe questo a ricordarci e dimostrare quanto sia fondamentale
garantire una piena autonomia di tutta la magistratura, compresi i pubblici
ministeri, che sono il motore della giurisdizione penale e che devono essere liberi
di fare un rigoroso controllo di legalità verso ogni forma di potere corrotto o
criminale.
Ma per essere liberi, dobbiamo essere credibili e
responsabili.
Perché “la libertà aumenta la responsabilità” (V. Hugo)