Tre gradi di separazione tra quello la verità, che vorremmo tutta e subito, e l'accertamento processuale, che si costruisce faticosamente e nel tortuoso cammino dei tre gradi, appunto...
In questi giorni, ancor più del solito, si leggono e si ascoltano commenti disorientati di fronte al ribaltamento di sentenze nei gradi successivi (l'assoluzione di Berlusconi in Appello, quella di Dolce & Gabbana in Cassazione e la condanna di Minzolini in Appello).
Come al solito premetto di voler fare una riflessione generale, per rispetto di quelle decisioni, perché non conosco le carte e le questioni affrontate e perché il caso specifico mi interessa poco mentre mi pare importante comprendere e riflettere sui meccanismi processuali, che non riguardano pochi imputati eccellenti, ma migliaia di cittadini (imputati e persone offese...).
Prima di tutto osservo quanto siano illogiche le nostre reazioni di fronte a decisioni inaspettate.
Se ci riflettessimo con qualche freddezza, ci dovrebbe apparire evidente che in linea di massima dovremmo avere fiducia per una decisione presa dai giudici naturali precostituiti (e selezionati per concorso) che hanno letto e studiato tutte le prove...
E invece no, perché per qualche folle e infantile ragione pensiamo di sapere noi la soluzione giusta, come se qualche resoconto giornalistico potesse sostituire la conoscenza dei fatti e delle questioni giuridiche.
Questa banale considerazione non vuole censurare qualsiasi critica alle sentenze, ma indurrebbe quanto meno a toni meno sprezzanti e a un atteggiamento in generale più prudente e conscio dei propri "pre-giudizi" (Tizio lo sanno tutti che è un corrotto, Caio è un evasore, ecc...).
Il principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza non deve restare solo un enunciato ma esiste proprio perché la storia e la storia del diritto hanno dimostrato quanto sia difficile e incerta la ricerca della verità processuale e per questo è necessario grande sobrietà fino a che non si giunge a una sentenza definitiva.
I gradi di giudizio non sono inutili orpelli proprio perchè il processo è un fatto anche tecnico e complesso che risponde a molte regole ed esigenze e che fisiologicamente può condurre persone preparate e perfettamente in buona fede a convincimenti diversi.
Questo riconoscimento della fragilità e della difficoltà dell'accertamento non deve spaventare o scandalizzare ma anzi ci fa comprendere quanto sia importante che diverse persone in più passaggi possano verificare i fatti, valutare l'attendibilità degli elementi di prova, soppesare eccezioni ed argomenti difensivi fino a prendere la decisione finale.
Questa gradualità assume connotati particolari nel processo penale.
Anzitutto perché dovendosi applicare anche gravi sanzioni limitative della libertà personale, l'ordinamento richiede che la prova sia al di là di ogni ragionevole dubbio. Quindi molto più di un semplice convincimento fondato... e infatti come pubblico ministero non è raro farsi un'idea precisa di certi fatti ma poi arrivare a chiedere l'assoluzione perché non si è riusciti a darne prova al di là di ogni ragionevole dubbio nel processo.
Questo ci rende uno Stato di diritto e di queste garanzie dobbiamo andare orgogliosi.
Inoltre il processo penale non deve stabilire se Tizio è una brava persona o se Caio è un delinquente, ma soltanto se l'imputato sia effettivamente responsabile di un fatto di reato e punibile.
L'assoluzione non è una benedizione e non di rado deriva dal fatto che sono state sì accertate condotte anche scorrette e illegittime, ma queste non hanno superato la soglia della rilevanza penale e che quindi magari possono considerarsi solo illeciti civili, amministrativi o disciplinari... o ancor più semplicemente comportamenti eticamente censurabili ma non vietati.
Tanto per fare un esempio, deve essere chiaro che in Italia la semplice evasione delle imposte non è reato se non deriva da condotte specifiche e fraudolente (ad esempio l'utilizzo di fatture false).
Ecco che allora condanna e assoluzione devono essere lette nel loro contenuto tecnico e complesso e questo ci aiuterebbe anche a metabolizzare come fisiologico (almeno in generale) il fatto che possano esserci esiti diversi mano a mano che si approfondisce e verifica la questione.
E nemmeno potremmo accettare o ipotizzare un sistema nel quale i gradi successivi possano servire solo a beneficio dell'imputato: un errore di valutazione può anche essere fatto a suo favore e quindi è del tutto logico e rispettoso proprio del principio del contraddittorio consentire anche all'accusa (e quindi anche alle vittime del reato....) di far valere le sue ragioni nei gradi successivi.
E d'altronde il gradimento o meno da parte della massa di una decisione non ha nulla a che vedere spesso con la sua giustizia.
Il processo a Gesù Cristo è un precedente eloquente sul punto...
"Mi accorgo che si può essere sovversivi soltanto chiedendo che le leggi dello Stato vengano rispettate da chi ci governa" (Ennio Flaiano) // "La Costituzione: ciò che ci siamo dati nel momento in cui eravamo sobri, a valere per i momenti in cui siamo sbronzi." (G. Zagrebelsky)
mercoledì 29 ottobre 2014
giovedì 23 ottobre 2014
Dal lamento all'indignazione
"One man with courage makes majority" (Andrew Jackson)
Un uomo solo dotato di coraggio fa maggioranza....
Questa splendida citazione mi è capitata sotto gli occhi sfogliando la prefazione di Bobby Kennedy al libro con cui il fratello John, ancora giovane e semi-sconosciuto politico, vinse il premio Pulitzer nel 1957: Profiles in courage.
Ho tirato fuori questo piccolo volume perché spesso mi ritornano in mente quelle storie di uomini politici che hanno pagato un prezzo altissimo per una scelta coraggiosa: JFK ripercorre alcune vicende emblematiche di statisti che seppero opporsi alla maggioranza e uscirono dal coro per difendere con coraggio un principio e per quel principio nell'immediato pagarono un prezzo altissimo.
Quel libro però non celebra le scelte politiche di chi semplicemente e narcisisticamente sceglie di stare dalla parte giusta senza mai sporcarsi le mani, come tanti puristi incapaci poi di assumersi il carico e l'onere di cambiare davvero le cose.
No, quello non è coraggio ma vanità.
Quella è la politica irresponsabile dei principi: "chi agisce secondo l'etica dei principi non si occupa del fatto che a seguito di una decisione giusta le circostanze possano peggiorare lo stato dei fatti; [...] l'etica della responsabilità, invece, per ogni decisione tiene conto delle conseguenze prevedibili e ingloba nell'idea di giustizia anche le conseguenze perché tiene conto dei difetti degli esseri umani e non attribuisce agli altri le conseguenze del proprio agire" (dal libro di Francesco Piccolo "Il desiderio di essere come tutti", che a sua volta ripercorre una conferenza tenuta da Max Weber nel 1919)
Oggi abbiamo la sfortuna di vedere troppo spesso politici che uniscono la mancanza di coraggio ad una sterile etica dei principi.
Incapaci di affrontare decisioni difficili e di dire la verità ai cittadini, se scelgono di difendere un principio lo fanno per estremismo e lasciano che a pagare le conseguenze siano gli altri e non loro stessi.
Questo male della politica credo che sia un riflesso di un male individuale e sociale molto diffuso, in cui ciascuno di noi si sta abituando soprattutto a puntare il dito contro le colpe altrui e a inseguire l'applauso oggi piuttosto che a sacrificarsi per qualcosa di giusto domani.
Forse è la stessa differenza che passa tra il lamentarsi - l'atteggiamento di chi dimostra insofferenza senza fiducia nel cambiamento e senza il coraggio di lavorare per esso - e l'indignarsi - un moto profondo dell'anima che scuote le fondamenta dell'individuo e lo tira fuori di sé, per ribellarsi a ciò che di ingiusto accade attorno a lui, senza curarsi del prezzo da pagare.
Se spesso osserviamo imperversare una politica fatta di slogan, che insegue gli umori della massa e strizza l'occhiolino al populismo, rivolgendosi alle nostre pance invece che alle nostre teste, non incolpiamo solo i politici senza spina dorsale che inseguono l'audience, perché sono i figli delle nostre facili lamentele.
Siamo noi i primi a chiedere e cercare capri espiatori su cui sfogarci piuttosto che responsabilità da assumerci.
La politica di cui abbiamo un disperato bisogno per ritrovare speranza nel futuro è quella che invece sa dire la verità anche quando è scomoda, quella che sceglie la strada difficile e non illude con le scorciatoie, quella che ascolta la base ma poi sa anche guidare il popolo e non soltanto inseguire la massa e aizzare la piazza.
"Un uomo fa quel che deve, a dispetto delle conseguenze personali, a dispetto degli ostacoli e dei pericoli e delle pressioni... e questa è la base di tutta la moralità umana" (J.F. Kennedy, Profiles in courage)
Un uomo solo dotato di coraggio fa maggioranza....
Questa splendida citazione mi è capitata sotto gli occhi sfogliando la prefazione di Bobby Kennedy al libro con cui il fratello John, ancora giovane e semi-sconosciuto politico, vinse il premio Pulitzer nel 1957: Profiles in courage.
Ho tirato fuori questo piccolo volume perché spesso mi ritornano in mente quelle storie di uomini politici che hanno pagato un prezzo altissimo per una scelta coraggiosa: JFK ripercorre alcune vicende emblematiche di statisti che seppero opporsi alla maggioranza e uscirono dal coro per difendere con coraggio un principio e per quel principio nell'immediato pagarono un prezzo altissimo.
Quel libro però non celebra le scelte politiche di chi semplicemente e narcisisticamente sceglie di stare dalla parte giusta senza mai sporcarsi le mani, come tanti puristi incapaci poi di assumersi il carico e l'onere di cambiare davvero le cose.
No, quello non è coraggio ma vanità.
Quella è la politica irresponsabile dei principi: "chi agisce secondo l'etica dei principi non si occupa del fatto che a seguito di una decisione giusta le circostanze possano peggiorare lo stato dei fatti; [...] l'etica della responsabilità, invece, per ogni decisione tiene conto delle conseguenze prevedibili e ingloba nell'idea di giustizia anche le conseguenze perché tiene conto dei difetti degli esseri umani e non attribuisce agli altri le conseguenze del proprio agire" (dal libro di Francesco Piccolo "Il desiderio di essere come tutti", che a sua volta ripercorre una conferenza tenuta da Max Weber nel 1919)
Oggi abbiamo la sfortuna di vedere troppo spesso politici che uniscono la mancanza di coraggio ad una sterile etica dei principi.
Incapaci di affrontare decisioni difficili e di dire la verità ai cittadini, se scelgono di difendere un principio lo fanno per estremismo e lasciano che a pagare le conseguenze siano gli altri e non loro stessi.
Questo male della politica credo che sia un riflesso di un male individuale e sociale molto diffuso, in cui ciascuno di noi si sta abituando soprattutto a puntare il dito contro le colpe altrui e a inseguire l'applauso oggi piuttosto che a sacrificarsi per qualcosa di giusto domani.
Forse è la stessa differenza che passa tra il lamentarsi - l'atteggiamento di chi dimostra insofferenza senza fiducia nel cambiamento e senza il coraggio di lavorare per esso - e l'indignarsi - un moto profondo dell'anima che scuote le fondamenta dell'individuo e lo tira fuori di sé, per ribellarsi a ciò che di ingiusto accade attorno a lui, senza curarsi del prezzo da pagare.
Se spesso osserviamo imperversare una politica fatta di slogan, che insegue gli umori della massa e strizza l'occhiolino al populismo, rivolgendosi alle nostre pance invece che alle nostre teste, non incolpiamo solo i politici senza spina dorsale che inseguono l'audience, perché sono i figli delle nostre facili lamentele.
Siamo noi i primi a chiedere e cercare capri espiatori su cui sfogarci piuttosto che responsabilità da assumerci.
La politica di cui abbiamo un disperato bisogno per ritrovare speranza nel futuro è quella che invece sa dire la verità anche quando è scomoda, quella che sceglie la strada difficile e non illude con le scorciatoie, quella che ascolta la base ma poi sa anche guidare il popolo e non soltanto inseguire la massa e aizzare la piazza.
"Un uomo fa quel che deve, a dispetto delle conseguenze personali, a dispetto degli ostacoli e dei pericoli e delle pressioni... e questa è la base di tutta la moralità umana" (J.F. Kennedy, Profiles in courage)
lunedì 20 ottobre 2014
Di che cosa parliamo quando parliamo di sentenze?
Il deposito delle motivazioni con cui la Corte d'Appello di Milano ha mandato assolto Silvio Berlusconi nella vicenda c.d. "Ruby" (che potete trovare qui http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/3364-caso_berlusconi_ruby__le_motivazioni_della_sentenza_della_corte_d_appello_di_milano/) ha aperto due fronti di discussione che temo finiscano per confondere ancora di più i cittadini e per indebolire la loro fiducia nella giustizia e nelle istituzioni.
Per un verso si è detto che quella assoluzione è figlia della modifica fatta dalla legge Severino ai reati di corruzione e concussione.
Non intendo entrare nel merito della vicenda, ma ritengo importante fare alcuni ragionamenti di carattere generale.
Intanto mettiamo ordine (seppure semplificando terribilmente!).
Siamo di fronte a corruzione quando pubblico ufficiale corrotto e corruttore si accordano per un reciproco vantaggio aderendovi liberamente (ad esempio il pubblico ufficiale si prende la tangente o altra utilità e il privato ottiene quel che gli serve... come si trattasse di un contratto illecito).
Il reato di concussione era costruito invece come una sorta di estorsione realizzata dal pubblico ufficiale, che costringeva la vittima a dargli denaro o altra utilità (non più un accordo, ma una costrizione mediante violenza o minaccia, in cui la controparte diventa vittima non punibile invece che complice).
La legge Severino (n. 190 del 2012) ha innovato in particolare smembrando il reato di concussione in due fattispecie:
- quando il pubblico ufficiale costringe in maniera assoluta, la controparte sarà una semplice vittima (concussione per costrizione, 317 cp)
- quando il pubblico ufficiale induce ma non costringe, la controparte è anch'essa punita seppure con pena inferiore (induzione indebita, 319 quater c.p.)
Queste nuove norme non prevedono esplicitamente un nuovo elemento costitutivo per il delitto di concussione per induzione, tuttavia le Sezioni Unite della Cassazione (SSUU 24/10/2013 n. 12228, http://www.penalecontemporaneo.it/materia/2-/19-/-/3285-sulle_differenze_tra_i_delitti_di_concussione_e_di_induzione_indebita_a_dare_o_promettere_utilit_/) hanno ritenuto di indicare di fatto un nuovo elemento che deve essere provato proprio per la fattispecie di induzione indebita (319 quater cp), ovvero un "indebito vantaggio" per il concusso, che proprio perché non più solo vittima ma complice cederebbe alla pressione del pubblico ufficiale ma per un tornaconto, che deve essere dimostrato dall'accusa.
Secondo la Corte d'Appello di Milano, per venire al nostro caso, nel processo a Berlusconi sarebbe mancata proprio la prova di questo indebito vantaggio per Ostuni, oltre ad aver ritenuto carente anche la prova del fatto che l'imputato sapesse della minore età della ragazza.
Di qui l'assoluzione su entrambi i capi di imputazione.
Gli argomenti, tra gli altri, di Marco Travaglio (http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/17/processo-ruby-avevamo-ragione-noi/1158741/) mi sembrano forzati e mirano a dare una lettura tutta politica e strumentale alle modifiche, senza chiarire che invece per l'assoluzione di Berlusconi è stata determinante soprattutto l'interpretazione che della legge Severino ha dato la Cassazione, e non semplicemente la legge di per sé (della qui bontà o meno si dovrebbe discutere a prescindere egli effetti sul caso specifico).
Se non vogliamo leggi ad personam dobbiamo anche evitare ragionamenti ed interpretazioni contra personam.
Inoltre, dovremmo tornare ad essere capaci di censurare eticamente i comportamenti, senza pretendere che per questi vi sia una condanna penale! Una condotta può ben essere illegittima, inopportuna o eticamente censurabile senza che per questo sia un reato.
Questo vale tanto di più per gli uomini con responsabilità pubbliche, che non solo devono rispettare la legge (come tutti), ma farlo anche con disciplina ed onore... (articolo 54 Costituzione)
Delegare il giudizio politico e morale al processo penale è uno dei grandi mali della discussione pubblica e politica di questo Paese.
Ai processi dobbiamo chiedere di ricostruire i fatti ma non possiamo affidare loro il giudizio sulle persone e sulle conseguenze politiche delle loro azioni.
Altro fattore di disorientamento in questa vicenda sono le dimissioni del Presidente del collegio di tre giudici che ha assolto Berlusconi.
Un autorevole firma del Corriere della Sera (Ferrarella) ha scritto che queste dimissioni sarebbero intervenute non a caso subito dopo il deposito delle motivazioni (scritte da un altro giudice), proprio a manifestare il faticoso rispetto ma anche l'insofferenza verso una decisione che sarebbe stata presa a maggioranza contro la sua opinione.
Questa ricostruzione (e quindi la correlazione tra decisione presa e dimissioni) non è stata direttamente smentita e ovviamente si sono aperte interpretazioni e la dietrologia ha fatto il suo corso.
Tutto questo danneggia l'autorevolezza della sentenza e del collegio che ha preso questa decisione, che può essere discussa ma va rispettata e potrà essere superata o smentita solo da una diversa interpretazione della Cassazione.
Quanto accade nella camera di consiglio, ovvero nello spazio riservatissimo in cui i tre giudici di un collegio discutono liberamente e prendono la decisione, è assolutamente segreto proprio per evitare di indebolire l'unica parola che ha valore, ovvero quella del dispositivo della sentenza e delle sue motivazioni.
Penso anche alle esternazioni di De Magistris, che ben poteva anche aspramente criticare nel merito la decisione di condannare lui e Genchi (ne avrebbe avuto e ne avrà gli argomenti...), ma il punto di partenza doveva essere (soprattutto per un magistrato e un uomo delle istituzioni) accettare la decisione e le sue conseguenze.
La strada, a mio modesto parere, era quella di prendere atto della sentenza, dimettersi e dal minuto successivo combattere in tutti i modi per vedersi riconosciute le proprie ragioni nel processo, senza per ciò dover delegittimare e attaccare i magistrati, con una modalità che ricorda tristemente da vicino quegli uomini pubblici irresponsabili che lo stesso De Magistris si riprometteva di combattere con il suo impegno in politica.
La difesa della legalità passa attraverso il rispetto delle regole e delle istituzioni e non contro di queste e a prescindere da queste.
lunedì 13 ottobre 2014
Vangelo, Capitale e sentieri per un economia più giusta
Pubblico la lettera aperta spedita al Presidente del Consiglio Renzi dall'amico Matteo Prodi, mio parroco a Zola Predosa e autore di "Sentieri di felicità" (Cittadella Editrice , 2013)
Pregiatissimo signor primo ministro Matteo Renzi,
Le scrive un parroco della provincia di Bologna, comune di Zola Predosa, comune che Lei ha visitato per salutare il grande investimento di una azienda di sigarette e visitare una floridissima azienda dell'e-commerce. Mi unisco a Lei per rallegrarmi di due raggi di sole nel panorama così triste dell'Italia che Lei governa.
Mi sono risuonate due letture, pensando alla sua presenza qui vicino a noi.
La prima è una pagina del Vangelo secondo Matteo (20,1-16), la parabola degli operai inviati a lavorare nella vigna. Ci sono moltissimi elementi interessantissimi:
a) il vignaiolo è come ossessionato nell’offrire a tutti coloro che incontra la possibilità di lavorare nella sua vigna.
b) Il suo essere imprenditore ha, quindi, come finalità il coinvolgimento del più alto numero possibili di persone nella sua attività.
c) A tutti è dato un denaro, cifra sufficiente e necessaria per una vita dignitosa; a tutti un denaro, indipendentemente dal numero di ore lavorate.
d) Il dipendente, che ha lavorato tutta la giornata e va a ricevere la paga, ha un problema definibile come un problema di felicità. Non riesce a condividere il bene ed è roso dall’invidia.
e) E così non capisce la bontà del padrone, il bene che il padrone crea e desidera creare.
La seconda lettura è il best seller dell'economia, il libro di Piketty, Il capitale nel XXI secolo, dove si cerca di dimostrare che il principale fattore destabilizzante è il fatto che il tasso di rendimento del capitale è, ormai strutturalmente, più alto del tasso di crescita del reddito e del prodotto. Ne consegue che “l'imprenditore tende inevitabilmente a trasformarsi in rentier (cioè uno che vive di rendita), e a prevaricare sempre di più chi non possiede nient'altro che il proprio lavoro. Una volta costituito, il capitale si riproduce da solo e cresce molto più in fretta di quanto cresca il prodotto. Il passato divora il futuro.” (pag 920 della traduzione italiana edita da Bompiani)
La traiettoria delineata dai due scritti è fin troppo convergente: la ricchezza deve essere usata per creare lavoro, felicità pubblica, bene comune e processi di eguaglianza, altrimenti rischia di essere iniqua. Piketty propone come soluzione una tassa progressiva sul capitale privato, che in Italia ammonta a sette volte tanto il reddito nazionale. Non so dire se sia tecnicamente possibile. Ma credo che sia una utopia da perseguire a tutti i costi, spiegando ai nostri concittadini e a tutti gli europei che è l'unico modo vero per garantire un nuovo sviluppo al vecchio continente.
Non basta salutare qualche caso isolato. Occorre che l'Italia sia rifondata da capo su questo schema, che, credo, è assolutamente in linea con la nostra Costituzione. Se è nell'economia che il passato divora il futuro, la vera rottamazione da compiere è il sistema di accumulazione del capitale che sta rendendo ricchissimo lo 0,1% della popolazione occidentale e italiana, e mandando sul lastrico molto più del 90% delle persone.
In ogni caso, buone letture: spero che il Vangelo la accompagni ogni giorno e che la tortura di leggere più di 900 pagine di Piketty Le faccia altrettanto bene quanto ha fatto a me; e buon lavoro!
Don Matteo Prodi
mercoledì 1 ottobre 2014
DISTRAZIONE DI MASSA
La verità è che in Italia per difendere le ragioni di una categoria, ci vorrebbe sempre l'intervento di un'altra categoria, perché ormai siamo pervasi di sfiducia e cinismo e pensiamo sempre che tutti vogliano solo salvare se stessi e parlino sempre per difendere i propri interessi, anzi privilegi!
Faldoni nel Tribunale di Catanzaro |
D'altronde il luogo comune ci rassicura e ci consente di avere un bersaglio grosso e facile contro cui scagliare insoddisfazioni e preoccupazioni per un presente di declino e un futuro ancor più precario per molti.
Questo post, quindi, non pretende minimamente di difendere questa pericolosa lobby di fannulloni superpotenti composta da me e dai miei colleghi magistrati.
No, dopo anni di insulti e delegittimazione, di giustizia lenta e rinvi alle calende greche, di flop giudiziari e processi mediatici, di magistrati politicanti e salvatori della patria... No, ci rinuncio questa volta.
E' vero, in questi anni ho scritto spesso per spiegare le "nostre" ragioni, ma il problema è sempre quello: sono ancora e solo le nostre, non siamo riusciti a comunicarle e farle diventare anche vostre, di tutti i cittadini che hanno a cuore la giustizia e la democrazia...
Non basta più indicare i modelli virtuosi e coraggiosi, spiegare che ci sono tanti colleghi seri e professionali, che lavoriamo in condizioni pessime e gestendo carichi folli (che non conoscono eguali in Europa).
Colpa dei media? Forse... Colpa di una politica demagogica? Anche... Colpa della nostra autoreferenzialità ed incapacità di risolvere anzitutto per conto nostro almeno alcuni dei problemi che affliggono la giustizia? Sì, certo, anche questo.
E allora perchè quest post?
Perché l'ossessione di Renzi per i nostri 240.000 €di stipendio mi sembra emblematica e può forse diventare la chiave di lettura per capire come si vuole impostare il dibattito in tema di giustizia e non solo in questa povera patria.
Breve cronistoria.
Alcuni mesi fa, mentre si parlava di tagli alla spesa pubblica, molti giornali e media dissero che vi era in cantiere la possibilità che il Governo stabilisse per decreto una decurtazione per gli stipendi di tutti i magistrati: dagli attempati cassazionisti che guadagnano circa 150.000 € lordi ai giovani neo magistrati (in realtà con età media ormai verso e oltre i trent'anni per cambiamenti fatti alla procedura del concorso) che all'inizio guadagnano circa 1.600 €netti.
Va bene la crisi e va bene la solidarietà, ma perché fare una simile tassa mirata ad un'unica categoria e per di più senza alcuna proporzionalità al suo interno, così danneggiando di fatto soprattutto proprio i più giovani magistrati che si trovano spesso a lavorare in situazioni difficili?
Se sacrifici devono farsi siamo pronti, disse l'ANM, ma nel rispetto dell'uguaglianza e applicando il principio di proporzionalità, colpendo quindi soprattutto i redditi effettivamente più alti (che poi sarebbero principi costituzionali, così, tanto per dire...).
Poco dopo emerse che in realtà si era optato solo per un blocco degli scatti contrattuali ed un tetto allo stipendio massimo pari a €240.000.
"Ma allora non parlano di noi!" ...fu il mio primo pensiero, non sapendo che in effetti ci sono due (ripeto.... D U E) magistrati in Italia che guadagnavano poco più di quella soglia: il Procuratore Generale della Cassazione e il Primo Presidente di Cassazione.
Tutti gli altri (quasi diecimila) magistrati sono AMPIAMENTE al di sotto (io dopo dieci anni di lavoro non arrivo a 90mila lordi e non mi avvicinerò mai a 200mila nemmeno con 40anni di anzianità, tanto per essere chiari).
Nonostante questo, e nonostante numerose esternazioni dell'ANM che si dichiarava assolutamente rasserenata, da quasi un anno Renzi si ostina a lamentare del fatto che questi magistrati corporativi e fannulloni hanno fatto le barricate perché lui gli ha tagliato lo stipendio!
Ma quando? Ma chi? Ma perché mai avremmo dovuto?!?
La leggenda metropolitana però viene ripetuta, così perpetuando per un verso l'immagine di magistrati ricchissimi che vogliono difendere le loro ricche prebende anche in tempi di crisi, e per altro verso quella di un premier coraggioso e dalla parte del popolo che non ha paura di certe lobby che pesano sul groppone degli italiani che lavorano!
L'Associazione Nazionale Magistrati ha in questi giorni provato a ristabilire per l'ennesima volta la verità dei fatti (http://www.associazionemagistrati.it/doc/1725/da-renzi-affermazioni-non-corrispondenti-a-realt.htm), ma naturalmente è inutile.
Perchè Renzi queste cose le sa benissimo ma la "scenetta dei 240.000 €" per lui è troppo comoda ed efficace dal punto di vista comunicativo...
Poco importa se così non si risolva nessun problema di bilancio.
Poco importa se le decine di proposte fatte dall'ANM per migliorare i tempi e la qualità della giustizia siano rimaste inascoltate.
Poco importa se gli organismi internazionali dicono da anni che siamo tra i magistrati europei più sovraccarichi di lavoro e più produttivi, ma non tra i più pagati (Commissione Europea per l'Efficienza della Giustizia, http://www.coe.int/T/dghl/cooperation/cepej/default_en.asp).
Poco importa se la Costituzione assegna al Ministro della Giustizia il dovere di fornire mezzi e risorse adeguate a Tribunali e Procure.
Poco importa se nessuno stato occidentale deve affrontare evasione fiscale, corruzione, mafie e terrorismo come in Italia.
L'importante è avere il capro espiatorio di turno e lo slogan efficace.
La voce vuole sentirsi dire cose chiare e semplici e possibilmente che le venga anche detto contro chi arrabbiarsi.
Tanto la voce dell'Anm è solo un rumore di fondo lontano che ascolta una nicchia politicamente ininfluente, mentre la grancassa della propaganda arriva a milioni di orecchie (distratte ma disponibili): il tg1 ogni giorno è visto da più persone dei lettori di tutti i quotidiani in edicola.
I lettori del sito dell'Anm non riempirebbero nemmeno uno stadio di calcio.
Non c'è partita.
Però, se è così, non c'è nemmeno nessuna buona notizia per chi aspettava che la giustizia cambiasse verso, diventando più veloce, responsabile e vicina ai cittadini.
No, ancora una volta su questo capitolo così doloroso della vita pubblica italiana non si fa un dibattito culturale e di merito, ma si gioca una partita tutto ideologica e politica per spostare consensi.
Questo modo demagogico e poco serio di affrontare la questione giustizia non è un problema dei magistrati.
E' un problema dei cittadini italiani onesti.
Quelli disonesti e furbi, invece, sono già contenti adesso di come vanno le cose...
Good night and good luck
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