“Non ebbe la possibilità di portare a compimento le sue potenzialità ed è per questo che la sua memoria insegue e stimola così tanti di noi. Perché voleva che il lavoro fosse portato a termine, perché era spesso impaziente e combattivo.”
(Robert Kennedy e il suo tempo, A.M. Schlesinger)
Queste parole, che in realtà si riferiscono a Robert Kennedy, mi vengono in mente quando penso alle vite delle due figure simbolo della battaglia contro la mafia: Paolo Borsellino e Giovanni Falcone... e mi ricordano perché questi due uomini hanno significato tanto per me, facendomi desiderare di fare il mestiere che faccio, e per tutti coloro che sono mossi dal desiderio e dal sogno di un paese migliore, libero dalla corruzione e dall’illegalità, un paese che offra opportunità a tutti e che non abbia bisogno di eroi ma solo di persone oneste che facciano la loro parte per il bene della collettività.
Falcone e Borsellino vennero uccisi tuttavia perché almeno un capitolo fondamentale del loro lavoro lo avevano portato a compimento: il 30 gennaio 1992 la Corte di Cassazione confermava gli ergastoli del processo istruito per anni dal pool di Palermo decretando così il successo della strategia di Paolo e Giovanni, che ebbero la capacità e l’audacia di processare per la prima volta la mafia come sistema unitario, come organizzazione verticistica e di potere, quella raccontata da Buscetta e da tutti gli altri collaboratori che si erano decisi a rispondere alle domande degli inquirenti, forse percependo che la parte sana dello Stato poteva davvero vincere la guerra.
Subito dopo quella storica sentenza Cosa Nostra reagiva uccidendo Salvo Lima, potente senatore andreottiano simbolo di una stagione politica che aveva usato la mafia per raccogliere consenso permettendo a questa di prosperare con i suoi affari. Con l’assassinio di Lima i “corleonesi” stavano dicendo che quell’epoca era terminata, che il patto era sciolto e la partita si riapriva.
A scombinare i piani era stato lo stesso Falcone, che agendo dal suo ufficio all’interno del Ministero della Giustizia fece in modo che il collegio decisivo non fosse presieduto dal giudice Carnevale, assolto nel 2002 dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa dopo una condanna a 6 anni in appello.
Ma torniamo al 1992 e facciamo un breve cronistoria.
Ø Il 30 gennaio la Corte di Cassazione conferma gli ergastoli alla cupola di Cosa Nostra
Ø Il 12 marzo Salvo Lima viene ucciso a Palermo
Ø Il 5 aprile le elezioni politiche decretano il successo del Partito Socialista, l’avanzata della Lega Nord, e la regressione della DC, sotto al 30%, anche per lo perdita del bacino di voti assicurato dalla mafia
Ø Il 23 maggio una carica di tritolo degna di una paese in guerra uccide Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti di scorta
Ø L’emozione e lo shock generati dalla strage di Capaci sbloccano la situazione politica e il 26 maggio viene eletto a sorpresa Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro
Ø Il 19 luglio un’autobomba uccide Paolo Borsellino e la sua scorta in via D’Amelio
Non è possibile adesso ripercorrere in maniera esaustiva la storia di questi eventi e delle indagini che sono seguite e quindi mi limiterò a sollevare due questioni per la nostra riflessione:
1. la prima:
Falcone e Borsellino non vennero uccisi solo per quello che avevano fatto, ovvero il maxiprocesso, ma anche per quello che volevano ancora fare… ovvero la guerra al terzo livello, alla borghesia mafiosa, alla struttura di potere ed economica che teneva (e tiene) i fili della grande criminalità organizzata e della corruzione in Italia, manovrando appalti, spostando voti alle elezioni, inquinando il libero mercato attraverso il riciclaggio di denaro sporco…
2. la seconda:
Sebbene le due stragi siano intimamente connesse, le indagini hanno fatto comprendere come l’attentato di via D’Amelio non sia stato solo e semplicemente il secondo capitolo della vendetta iniziata a Capaci.
Vi sono troppi interrogativi rimasti aperti, troppe tracce parlano del coinvolgimento di parti dello stato che potrebbero aver usato Cosa Nostra per fare un lavoro gradito e utile non soltanto a Cosa Nostra. Per non parlare della scomparsa dell’agenda su cui Paolo Borsellino annotava gli appunti più riservati e delicati delle sue investigazioni.
Le stragi del 1992 non possono essere relegate nella sola storia criminale di questo Paese, o raccontate esclusivamente nelle pagine di cronaca giudiziaria… oppure ridotte a fenomeno meridionale.
Nel 1993 gli attentati di Roma, Milano e Firenze, che oggi sappiamo essere stati opera di Cosa Nostra, riportarono in Italia un clima che si pensava appartenere al passato, e ciò accadeva proprio mentre le indagini di Mani Pulite, esplose nel 1992, svelavano l’oscena corruzione del potere politico in Italia decapitando un’intera classe dirigente.
La concomitanza di questi eventi, qualche anno dopo il crollo del muro di Berlino, non era causale e non rappresentava soltanto la drammatica fine di una fase storica: in quegli anni e con il sangue delle stragi di Capaci e via D’Amelio si stavano decidendo gli assetti di potere futuri e in particolare il rapporto tra mafia e potere politico.
La morte di Falcone e Borsellino e l’omicidio di Lima, pur nei loro significati opposti, erano tutti sintomatici di una sfida lanciata ai massimi livelli: i corleonesi, che in quel momento guidavano la cupola con Riina, volevano dimostrare la loro forza e al contempo far capire ai vecchi referenti politici che la situazione stava cambiando.
Si rivelò una strategia folle, e che infatti in seguito Provenzano abbandonò: lo Stato, che da sempre aveva volentieri stretto taciti e inconfessabili accordi con la mafia sottobanco con reciproco beneficio, non poteva non dare segni di reazione di fronte a eventi così clamorosi: si giunse così a una nuova legislazione antimafia (dall’inasprimento del 41bis alle norme sulla confisca dei beni) e alla straordinaria stagione del pool di Palermo diretto da Caselli, che conseguì risultati eccezionali.
Ecco la fotografia che di questo passaggio fece il Procuratore Aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato in una relazione letta a Palermo il 19 febbraio 2005:
Nella crisi degli assetti della classe dirigente della prima Repubblica, si apriva agli inizi degli anni Novanta una parentesi storica […] durante la quale il sistema di potere nazionale perdeva temporaneamente il controllo di alcuni sottosistemi strategici, quale quello dell’ amministrazione della giustizia.
Per la prima volta nella storia del paese, la magistratura operava come una variabile indipendente dal sistema politico, inverando nella prassi il dettato costituzionale dell’indipendenza dell’Ordine giudiziario, rimasto sino ad allora virtuale affermazione di principio.
Per alcuni anni […] il pianeta mafia ruotando su se stesso ha mostrato pienamente per la prima volta entrambe le sue facce – quella della mafia militare e quella della mafia borghese , che si sono rivelate l’una il rovescio dell’altra, componenti dello stesso sistema di potere.
Ma proprio quando ci si incominciava ad avvicinare alle stanze dei bottoni, il clima sociale e politico cambiava nuovamente.
Il Paese ebbe una sorta di crisi di rigetto e quella stagione di successi giudiziari e di rinascita morale che poteva preludere a un vero ricambio della classe dirigente si interruppe: gli entusiasmi verso le indagini divennero diffidenza, il sostegno per le procure si trasformò in sospetto, la fiducia nella magistratura fu spazzata via da una stagione di violenta e volgare delegittimazione che ancora oggi pare non aver terminato il suo lavoro di erosione ed isolamento dell’ordine giudiziario.
Ricordiamoci di questo: la consapevolezza e la presa di posizione dell’opinione pubblica a favore della legalità sono condizioni necessarie perché il disegno della nostra Carta Costituzionale si realizzi pienamente e la magistratura sia davvero soggetta solo alla legge e non subordinata o intimidita o limitata da un potere politico che vuole le mani libere e quindi non sopporta che si indaghi sul fenomeno della corruzione nella pubblica amministrazione, sulle ruberie delle ricchezze pubbliche o sulla connivenza della classe dirigente politica ed economica con la criminalità organizzata.
Quando è la gente per prima a non voler più cercare la verità, a non pretendere più giustizia uguale per tutti, allora la magistratura si ripiega in sé stessa e la sua possibilità di fare luce e fare giustizia è fortemente ridotta.
La giustizia italiana necessita riforme così come la magistratura, ma un Paese democratico deve avere la forza e la lucidità per riformare il sistema preservando quel bene fondamentale per la collettività (e non solo per i magistrati) che è rappresentato dall’indipendenza del potere giudiziario. E soprattutto delle Procure, vero motore della giurisdizione e del controllo di legalità.
Alla vigilia delle elezioni del 27 marzo 1994, vinte da Berlusconi e dalla formazione politica creata in pochi mesi da Dell’Utri, Cosa Nostra era sul punto di entrare direttamente in politica, anche approfittando delle praterie lasciate libere da Mani Pulite, con un partito di tipo secessionista sul modello della Lega Nord.
Questo progetto fu poi abbandonato ma solo per tornare allo schema più classico, ovvero quello della ricerca di uno (o più) referenti politici a cui affidare gli equilibri di potere e gli enormi interessi economici della mafia.
È in questo quadro inquietante che si inserisce la vicenda non ancora chiarita delle trattative segrete che vi sarebbero state tra Cosa Nostra e parti delle istituzioni, iniziate ancor prima probabilmente della strage di via D’Amelio, cui si sarebbe giunti anche perché il Procuratore Borsellino non ostacolasse questa possibilità di accordo.
Il personaggio interpretato da Gian Maria Volontè nel film “Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” usa una frase suggestiva per spiegare che la massa non può e non deve sapere tutto: “il popolo è minorenne” …
Vogliamo essere un popolo di minorenni, vivere da cittadini inconsapevoli che credono ci sia democrazia e libertà solo perché di tanto in tanto possiamo andare a votare, magari senza nemmeno poter esprimere una preferenza ?
Oppure vogliamo davvero scoprire cosa è accaduto tra il 1992 e il 1994, così che il futuro della nostra democrazia e delle nostre istituzioni non rischi di poggiare le sue fondamenta in un terreno corrotto e inquinato ?
Non si tratta di tifare per questa o quella indagine: la magistratura, come tutte le istituzioni, ha bisogno di fiducia e rispetto, non di supporters… Bisogna restare cauti e andare avanti, sapendo che quando lo Stato torna forte e autorevole è più facile andare fino in fondo.
Ma, come dicevo all’inizio, le stragi del 1992/1993 non sono soltanto storie criminali; non si tratta soltanto di gravissimi reati… sono vicende che hanno determinato gli assetti del potere e la vita delle istituzioni democratiche : per questo le risposte non possono e non devono essere cercate solo nelle indagini giudiziarie.
La storia, il giornalismo e la politica devono assumersi le loro responsabilità.
Il popolo deve chiedere e pretendere di diventare maggiorenne ed essere trattato come tale.
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