"One man with courage makes majority" (Andrew Jackson)
Un uomo solo dotato di coraggio fa maggioranza....
Questa splendida citazione mi è capitata sotto gli occhi sfogliando la prefazione di Bobby Kennedy al libro con cui il fratello John, ancora giovane e semi-sconosciuto politico, vinse il premio Pulitzer nel 1957: Profiles in courage.
Ho tirato fuori questo piccolo volume perché spesso mi ritornano in mente quelle storie di uomini politici che hanno pagato un prezzo altissimo per una scelta coraggiosa: JFK ripercorre alcune vicende emblematiche di statisti che seppero opporsi alla maggioranza e uscirono dal coro per difendere con coraggio un principio e per quel principio nell'immediato pagarono un prezzo altissimo.
Quel libro però non celebra le scelte politiche di chi semplicemente e narcisisticamente sceglie di stare dalla parte giusta senza mai sporcarsi le mani, come tanti puristi incapaci poi di assumersi il carico e l'onere di cambiare davvero le cose.
No, quello non è coraggio ma vanità.
Quella è la politica irresponsabile dei principi: "chi agisce secondo l'etica dei principi non si occupa del fatto che a seguito di una decisione giusta le circostanze possano peggiorare lo stato dei fatti; [...] l'etica della responsabilità, invece, per ogni decisione tiene conto delle conseguenze prevedibili e ingloba nell'idea di giustizia anche le conseguenze perché tiene conto dei difetti degli esseri umani e non attribuisce agli altri le conseguenze del proprio agire" (dal libro di Francesco Piccolo "Il desiderio di essere come tutti", che a sua volta ripercorre una conferenza tenuta da Max Weber nel 1919)
Oggi abbiamo la sfortuna di vedere troppo spesso politici che uniscono la mancanza di coraggio ad una sterile etica dei principi.
Incapaci di affrontare decisioni difficili e di dire la verità ai cittadini, se scelgono di difendere un principio lo fanno per estremismo e lasciano che a pagare le conseguenze siano gli altri e non loro stessi.
Questo male della politica credo che sia un riflesso di un male individuale e sociale molto diffuso, in cui ciascuno di noi si sta abituando soprattutto a puntare il dito contro le colpe altrui e a inseguire l'applauso oggi piuttosto che a sacrificarsi per qualcosa di giusto domani.
Forse è la stessa differenza che passa tra il lamentarsi - l'atteggiamento di chi dimostra insofferenza senza fiducia nel cambiamento e senza il coraggio di lavorare per esso - e l'indignarsi - un moto profondo dell'anima che scuote le fondamenta dell'individuo e lo tira fuori di sé, per ribellarsi a ciò che di ingiusto accade attorno a lui, senza curarsi del prezzo da pagare.
Se spesso osserviamo imperversare una politica fatta di slogan, che insegue gli umori della massa e strizza l'occhiolino al populismo, rivolgendosi alle nostre pance invece che alle nostre teste, non incolpiamo solo i politici senza spina dorsale che inseguono l'audience, perché sono i figli delle nostre facili lamentele.
Siamo noi i primi a chiedere e cercare capri espiatori su cui sfogarci piuttosto che responsabilità da assumerci.
La politica di cui abbiamo un disperato bisogno per ritrovare speranza nel futuro è quella che invece sa dire la verità anche quando è scomoda, quella che sceglie la strada difficile e non illude con le scorciatoie, quella che ascolta la base ma poi sa anche guidare il popolo e non soltanto inseguire la massa e aizzare la piazza.
"Un uomo fa quel che deve, a dispetto delle conseguenze personali, a dispetto degli ostacoli e dei pericoli e delle pressioni... e questa è la base di tutta la moralità umana" (J.F. Kennedy, Profiles in courage)
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