"the problems we all live with" di norman rockwell

lunedì 21 novembre 2011

La Costituzione viene prima del Porcellum

Ognuno farà le sue valutazioni sulle vicende politiche di queste ore, ma quello che non è accettabile è sentir dire che qualsiasi esito diverso da nuove elezioni sarebbe non democratico. La concezione di democrazia di chi dice una simile frase è alquanto rozza e segnala una grande propensione al populismo e alla demagogia piuttosto che alla democrazia in senso alto.

La sovranità è indubbiamente del “popolo” , ma questi la esercita “nelle forme e nei limiti della Costituzione” (articolo 1 Carta Costituzionale): se non vogliamo trasformarci del tutto in una versione europea di peronismo dobbiamo capire che anche le istituzioni non direttamente elette svolgono un ruolo fondamentale per la difesa della Repubblica (penso al Presidente della Repubblica, ma anche alla Corte Costituzionale).

La democrazia è molto di più del diritto di andare a votare chi si vuole. Le sorti del Parlamento non sono legate alla vita dei governi: un simile principio non esiste nella Costituzione anche perchè altrimenti si negherebbe l’indipendenza del potere legislativo dall’esecutivo (o almeno quel che ne rimane); non è un caso che la riforma costituzionale dello Stato più volte immaginata da Berlusconi attribuisse di fatto al Primo Ministro la possibilità di decidere la fine della legislatura (e così tenere ancor più sotto scacco i parlamentari).

E’ evidente che il sistema della fiducia mette in relazione questi due poteri, ma non devono essere confusi e non può essere ridotto al lavoro di un passacarte il ruolo centrale di equilibrio, filtro e garanzia che deve svolgere il Presidente della Repubblica. E’ il Quirinale che sceglie se sciogliere anticipatamente le camere e tale scelta evidentemente dipende dalla possibilità di formare un nuovo governo (e di qui le consultazioni che di fatto sono già in corso). Certamente la modifica in senso maggioritario della legge elettorale ha ormai da molto tempo modificato gli assetti politici, ma questo non può travolgere gli equilibri e le dinamiche previste dalla “legge delle leggi” (la Costituzione, appunto).

Se poi le leggi elettorali, e in particolare l’ultima versione degenerata (il c.d. porcellum a detta del suo stesso estensore), sono in parte incompatibili con la Costituzione, questo sarà un problema del porcellum e non certo della Carta Fondamentale del ’48. Ciò dimostra – semmai - l’urgenza non solo di modificare la legge elettorale in senso più rispettoso del principio democratico (restituendo quindi la possibilità scegliere gli eletti ai cittadini), ma anche di inserire la nuova disciplina delle elezioni nella Carta Costituzionale, così da renderla strutturalmente compatibile e condivisa da una larga maggioranza.

Lo so, sto sognando, ma una classe politica responsabile e lungimirante lo dovrebbe fare. In attesa di essa, e quindi acnor prima di un popolo italiano responsabile e lungimirante, cerchiamo di capire che la democrazia non è un sondaggio, non è uno scontro di tifoserie o una gara di proselitismo e propaganda. La democrazia è un bene fragile e prezioso. E non è sempre è quello che pensiamo che sia. Talvolta dietro chi invoca il popolo e la democrazia si nasconde il loro primo nemico.

BR in Procura... silenzio al Ministero

“Via le Br dalla Procura di Milano”, tuonava su sfondo rosso un grottesco manifesto in piena campagna elettorale in vista dell’elezione del sindaco del capoluogo lombardo nella primavera di quest’anno. Vi ricorderete forse che dopo pochi giorni si scoprì che dietro l’anonimo manifesto si celava un candidato del centro-destra, poi estromesso con tante scuse da parte della stessa Letizia Moratti.

Al coro di sdegnata condanna si unirono praticamente tutti, compreso il ministro degli Interni Maroni (il quale annunciò “verifiche” per individuare i responsabili dell’affissione “da condannare” anche perché la Procura di Milano “è stata duramente colpita dalle Br”) e il Ministro della Giustizia Angelino Alfano (che ricordò come l’autorità giudiziaria, diceva Alfano, “è garante dell’applicazione dei principi di legalità e di giustizia e sull’altare di questi ha versato un tributo di sangue che nessuno può dimenticare”). Forse solo l‘ex presidente del Consiglio non intervenne in maniera tempestiva ed esplicita, dando l’impressione (ma è solo una mia opinione) che quel manifesto aveva detto in maniera solo un po’ troppo colorita e aggressiva quello che tutto sommato una certa parte di politica pensava e diceva tra le righe da molto tempo (d’altronde la rassegna stampa sulle accuse violentissime rivolte dall’ex premier in particolare alla Procura di Milano richiederebbe un intero libro).

In effetti si tratta di una vicenda paradigmatica del rapporto tra politica e magistrati nella Seconda Repubblica, i cui tratti salienti sono : 1) diffondere la leggenda metropolitana che la magistratura agisca per fini politici, così da non dover parlare e spiegare il contenuto delle accuse; 2) delegittimare l’accusatore e l’istituzione magistratura nel suo complesso: accusare è la miglior difesa; 3) far credere che un’indagine sia politica per il solo fatto che si occupa di uomini politici, laddove invece sarebbe politica se fosse infondata, mentre è perfettamente normale e doverosa se si occupa di comportamenti illeciti che commettono anche i politici in questo Paese (che gli effetti di un’indagine siano anche politici è altra questione che non può e non deve influenzare l’azione dei pubblici ministeri i quali hanno l’obbligo di accertare i reati e perseguirli nei confronti di chiunque); 4) difendersi “dal processo” e non “nel processo” (tecnica peraltro legittimata anche da Enrico Letta sul Corriere).

La vicenda, oltre che gravissima e indegna, è significativa anche per il seguito processuale, che però nessuno o quasi ancora conosce. Dovete sapere che la Procura di Milano ha contestato agli indagati il reato di “vilipendio alla magistratura“, previsto dall’art. 291 del codice penale. Per tale reato è previsto una particolare procedura in quanto l’azione penale può essere esercitata dalla Procura se e solo se il Ministro della Giustizia concede l’autorizzazione a procedere (si tratta di una clausola eccezionale predisposta forse per evitare che i magistrati perseguissero chiunque li contestasse in maniera pretestuosa, abusando della fattispecie penale).

La Procura ha inoltrato sin dallo scorso maggio la richiesta di autorizzazione al Ministeroma in oltre 5 mesi (e nonostante un sollecito) né Alfano né Palma hanno evidentemente trovato il tempo per mettere la firma e consentire che si celebri il processo contro chi ha così gravemente infamato il nome della Procura di Milano. Evidentemente non si può negarla questa autorizzazione, perché l’accusa è assolutamente fondata; allora ci si limita al silenzio, si impedisce che la giustizia vada avanti, forse per un malinteso senso di solidarietà politica o di difesa corporativa? Il rifiuto avrebbe potuto suscitare polemiche e accuse, mentre il silenzio è una medicina docile che questo Paese assume compiaciuto, anche per non ricordarsi troppo spesso quanta illegalità, corruzione e mancanza di rispetto delle istituzioni lo inquinano.

Se vogliamo anche solo provare a sognare di aprire una fase nuova della nostra Repubblica, dobbiamo avere il coraggio della chiarezza e partire anzitutto dall’affermazione della legalità, senza scuse, senza coni d’ombra di impunità, senza silenzi imbarazzanti.



sabato 5 novembre 2011

CHI VUOLE UN GIUDICE A PARMA ?

C’è un giudice a Berlino” è la celebre affermazione che avrebbe pronunciato un mugnaio prussiano quando, di fronte alla prepotenza del sovrano, il suddito vessato esprimeva così la sua fiducia nell’intervento di un giudice che avrebbe rimesso le cose a posto.

Qualcuno sembra non volere un giudice a Parma

Nelle ultime settimane polemiche strumentali e interrogazioni parlamentari hanno cercato di delegittimare e indebolire l’autorità giudiziaria di Parma e in particolare la Procura e il suo Capo: nel tentare di distrarre l’attenzione dalle gravi inchieste ancora in corso, si è arrivati a ipotizzare gravi situazioni di incompatibilità personale del tutto infondate, come i comunicati stampa che riporto al termine di questo post spiegano e testimoniano.

Non intendo usare questo blog per parlare di vicende processuali: sono profondamente convinto che sulle questioni di merito i magistrati parlino solo tramite i provvedimenti e con comunicazioni formali. Quello che mi preoccupa è il ripresentarsi anche in questo caso di due tecniche di difesa molto pericolose :

- la difesa dal processo, invece che nel processo;

- l’attacco all’accusatore, per distogliere l’attenzione dai fatti contestati all’accusato.

Le critiche sono legittime e anzi indispensabili in un sistema democratico e il lavoro della Procura di Parma deve essere e verrà verificato nei diversi gradi di giudizio che garantiscono ampio spazio al diritto di difesa, ma non è accettabile cercare di trasformare in azione politica questioni squisitamente giurisdizionali.

E’ importante ribadirlo: indagare e processare uomini politici sarebbe un atto politico solo se emergesse con evidenza l’assoluta infondatezza e pretestuosità delle accuse, ma allo stato questo non può certamente dirsi, vista la gravità dei fatti emersi, le misure cautelari confermate e le dimissioni di molti amministratori della cosa pubblica. Il rispetto della presunzione di colpevolezza non può comportare una delegittimazione sistematica dell’azione inquirente.

Il procedimento penale riguarda i fatti posti in essere dalle persone e non le persone medesime o le loro appartenenze politiche; dopo di che anche un bambino capisce che normalmente la corruzione si insinua e si espande tra coloro che detengono il potere e non si preoccupa certo di che colore siano le bandiere o le idee.

Siamo notoriamente il Paese occidentale e sviluppato con i più alti tassi di corruzione: quando una Procura, cercando di fare il suo dovere al meglio, approfondisce fenomeni corruttivi le istituzioni dovrebbero solo auspicare trasparenza, tempestività e legalità: tutte cose che attacchi strumentali all’ufficio non aiutano.

Ecco perché è importante che anche i Pubblici Ministeri restino indipendenti: perché la forza di affermazione della legalità e del principio di uguaglianza della legge si nutre in concreto anzitutto della capacità di accertamento dei fenomeni corruttivi e criminali da parte delle Procure, che non devono avere alcun programma o criterio politico ma solo l’obiettivo di far rispettare la legge, per tutti e da tutti.

Il Comunicato della Giunta Distrettuale dell’ANM :

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Parma dr. Gerardo Laguardia è pienamente compatibile con la sede che ricopre.

Lo ha deliberato ieri all’unanimità, in seduta pubblica plenaria, il Consiglio Superiore della Magistratura, conformemente alla proposta di archiviazione della 1^ Commissione, competente in materia.

Era stato lo stesso magistrato a segnalare tempestivamente per le valutazioni del caso, come previsto dalle norme di Ordinamento Giudiziario, la situazione relativa allo svolgimento delle sue funzioni l’Ufficio Giudiziario penale da lui diretto in Parma e all’esercizio della professione di avvocato, in campo esclusivamente civile, della figlia.

La decisione del CSM è in linea con la legge e con i precedenti in materia, che di norma escludono interferenze laddove i campi di rispettiva attività dei soggetti interessati siano ben distinti.

Si conferma l’infondatezza dei contenuti dell’interrogazione al Ministro della Giustizia presentata sul tema in data 27 ottobre scorso dal Sen. Avv. Filippo Berselli.

Una non difficile verifica presso il C.S.M. sullo stato avanzato delle pratica avrebbe dissolto non i dubbi, ma le certezze manifestate nell’interrogazione sulla mancanza di correttezza deontologica del magistrato.

La tesi formulata in due precedenti interrogazioni, citate in quest’ultima, della presunta faziosità del lavoro della Procura della Repubblica di Parma in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione ne esce indebolita. 

Bologna, 3 novembre 2011

Il Presidente della Giunta distrettuale dell’A.N.M. – Emilia Romagna

Pier Luigi di Bari



Il comunicato della sottosezione ANM di Parma

Il presidente ed il segretario della sottosezione di Parma dell’Associazione Nazionale Magistrati esprimono viva preoccupazione per i contenuti ed i toni delle polemiche che hanno investito i magistrati titolari delle indagini attualmente in corso presso gli uffici giudiziari di questa città in ordine a varie ipotesi di reato contro la Pubblica Amministrazione.

Respingono con forza la tesi secondo la quale la magistratura farebbe deliberatamente un uso aberrante delle sue funzioni per perseguire scopi politici od addirittura vantaggi personali e sottolineano che questa distorta rappresentazione della realtà produce il gravissimo effetto di delegittimare nella sua interezza agli occhi dell’opinione pubblica una delle articolazioni fondamentali dello Stato.

Respingono con forza l’idea stessa che la magistratura sia un soggetto protagonista della lotta politica, pronto a scontrarsi con formazioni politiche o con altri poteri dello Stato.

Auspicano che le legittime critiche che in un ordinamento democratico possono essere formulate anche nei confronti dei provvedimenti giurisdizionali non degenerino nella sistematica e gratuita denigrazione dei magistrati di volta in volta chiamati ad occuparsi di vicende delicate e complesse, che potranno essere chiarite non con il clamore di impropri processi mediatici, ma con gli strumenti previsti dal codice di procedura penale e nel rispetto di tutte le garanzie previste dalla legge a tutela di chiunque si trovi ad essere sottoposto ad un’indagine penale.

Il presidente della sottosezione                                                Il segretario della sottosezione

dottor Gennaro Mastroberardino                                                   dottoressa Lucia Russo



GOLPE LINGUISTICO

Il Presidente del Consiglio ha dichiarato pubblicamente che Tangentopoli fu un Golpe Giudiziario, ovvero un colpo di stato, un sovvertimento violento o comunque abusivo delle istituzioni repubblicane.

Curioso che tale definizione venga da colui che più di ogni altro ha detenuto il potere a seguito del presunto golpe (neanche un po’ di riconoscenza!?). Soprattutto appare incredibile che sia vista come sovversiva una stagione in cui in realtá la magistratura (finalmente) era riuscita a metteresotto accusa un intero sistema di gestione del potere economico e politico fondato sulla corruzione e la spartizione.

La crisi economica e l’indebolimento dei partiti avevano aperto falle enormi da cui fuoriscivano imprenditori e pubblici ufficiali che si mettevano in coda fuori dagli uffici dei PM milanesi per confessare tangenti e abusi. Vi furono migliaia di condanne e patteggiamenti che riguardarono tutti i partiti, anche se ovviamente con una prevalenza di quelli che detenevano il potere in Lombardia (problema, ripeto, di potere, non di colori o ideologie).

Molti straparlano di scorrettezze dei magistrati e abuso delle custodie cautelari (spesso senza portare alcun argomento concreto), ma anche laddove vi siano stati errori nella gestione di singole vicende (penso ad esempio al caso Burlando), questo non potrebbe cancellare il significato di fondo di quella stagione: l‘esercizio dell’azione penale in maniera eguale per tutti, potenti compresi.

Interessi di lobby e di partito avevano sostituito gli interessi collettivi e rubato denaro pubblico: accertare questi gravi e diffusi reati è esattamente il compito della magistratura, che in altre stagioni vi era riuscita solo parzialmente (ed anche oggi fatica ad accertare e contrastare il diffuso e dannosissimo fenomeno della corruzione). La Procura di Milano stava applicando e difendendo la Costituzione, violata e tradita dai corrotti: come è possibile accettare che uomini delle istituzioni continuino da anni a dire il contrario? E’ un golpe linguistico, non certo giudiziario!

Non si tratta di tifare per la magistratura, ma semplicemente di riconoscere che quello era il suo dovere. Si discuterà del fatto che si potesse fare meglio o di piú o che talvolta si cadde in errori di valutazione, ma non potremo dire che la difesa della legalità e mandare a processo una classe dirigente criminale fosse un colpo di Stato!

Erano i politici a invadere il campo dell’illecito penale e non i magistrati a invadere il territorio della politica.

E’ destino di questo paese che chi vuole difendere la Costituzione e la legalità finisca per passare come sedizioso sovversivo. Speriamo che in futuro almeno le parole vengano usate correttamente.



A QUALCUNO CONVIENE

A qualcuno conviene una giustizia lenta.
A qualcuno conviene che ci vogliano molti mezzi economici per potersi difendere e per fare una causa.
A qualcuno conviene che un lungo e faticoso processo accerti un reato, ma rinunci a punire perché è passato troppo tempo.
A qualcuno conviene che la lista dei testimoni sia interminabile.
A qualcuno conviene che si facciano meno intercettazioni e che se ne parli ancora meno.
A qualcuno conviene che il falso in bilancio non esista.
A qualcuno conviene che non si riescano a fare processi per riciclaggio di denaro sporco al nord.
A qualcuno conviene che ci siano troppe cause e le cose vadano per le lunghe.
A qualcuno conviene che un problema con le notifiche faccia saltare l’udienza.
A qualcuno conviene che le leggi siano complicate e poco chiare.
A qualcuno conviene che costi meno fare una causa ingiusta piuttosto che pagare il dovuto.
A qualcuno conviene che non venga adottata la convenzione internazionale contro la corruzione.
A qualcuno conviene che la magistratura sia delegittimata.
A qualcuno converrebbe che le procure e i tribunali facessero solo quel che è gradito alla maggioranza.

Quel qualcuno non è l’innocente che vuole vedere giustizia. Quel qualcuno non è la vittima di un sopruso o di un reato. Quel qualcuno non è qualcuno a cui stia a cuore la nostra Costituzione.

‎”Esistono al mondo paesi in cui tutte le decisioni dei tribunali incontrano il favore del governo, ma non sono posti dove si desidererebbe vivere” (Lord Bingham)