"the problems we all live with" di norman rockwell

giovedì 8 settembre 2022

Cronache dalla trincea del codice rosso: tra storytelling, contrasto e prevenzione

 

Occupandomi ogni giorno da molti anni di contrasto alla violenza di genere, mi lascia amareggiato constatare il modo in cui questo grave fenomeno viene narrato dai media. 

L'enfasi sulle storie finite male e la miscela di qualunquismo e morbosità che spesso caratterizzano questo tipo di cronaca, non solo non aiutano a comprendere cosa è accaduto e come si è giunti a quei drammatici epiloghi, ma finisce anche per alimentare (spesso molto ingiustamente) il circuito vizioso di sfiducia verso le istituzioni che rappresenta una delle ragioni che inducono le donne a non denunciare.

Sappiamo quanto una brutta notizia, che specula su un dramma e cerca un facile capro espiatorio, attiri molta più attenzione di una riflessione equilibrata che prova invece a entrare nelle pieghe del fenomeno per comprendere cosa non abbia funzionato o cosa si debba fare di più.

Sono un pubblico ministero e quindi la mia prospettiva è quella del processo penale. Limitare la discussione agli strumenti del diritto penale è però uno dei grandi problemi del dibattito pubblico rispetto a un fenomeno che ha molte sfaccettature psicologiche,  sociali culturali e anche economiche. La risposta a questo terribile problema della nostra società deve quindi essere anzitutto culturale, educativa, politica: dobbiamo prevenire mediante l'educazione e il diffondersi di una diversa culturale delle relazioni, dobbiamo promuovere l'emancipazione anche economica delle donne e le pari opportunità, dobbiamo sostenere le situazioni di disagio rafforzando le reti territoriali, dobbiamo comprendere le ragioni del diffuso abuso di alcol e stupefacenti e contrastarlo perché spessissimo alcolici e droghe sono elementi che fanno deflagrare le violenze. Immaginare di risolvere il problema aumentando le pene e usando solo la leva della sanzione penale è una grave ingenuità, utile solo alla propaganda

Tornando però intanto a ragionare nell'ambito del processo penale, va riconosciuto che non mancano gli strumenti volti a tutelare vittime e che quindi molto spesso possiamo avere la capacità di fermare ovvero impedire ulteriori fatti di stalking o maltrattamento... ma resta il fatto che il procedimento penale riguarda l'accertamento e la punizione di fatti di reato già commessi e non è uno strumento volto alla prevenzione (perlomeno fino a che non si realizzerà la cupa profezia di "minority report").

Può accadere che, nonostante sia stata presentata una denuncia, non ci siano però i presupposti per attivare una misura cautelare, ovvero una misura di protezione della vittima e di limitazione dell'indagato (tipicamente un divieto di avvicinamento o un allontanamento dalla casa famigliare, sino ad arrivare agli arresti domiciliari o alla custodia cautelare in carcere nei casi più gravi). Se non abbiamo raccolto gravi indizi di colpevolezza e se non vi sono elementi concreti che fanno ritenere attuale un rischio di reiterazione, non possiamo infatti ottenere misure. Vero è che la sola dichiarazione della vittima può essere sufficiente, ma in molti altri casi è indispensabile consolidare tale versione con riscontri obiettivi o testimoniali. Soprattutto non sempre nella vicenda emergono elementi che consentano di ritenere concreto e attuale il rischio di reiterazione. 

Va tenuto presente che in un ufficio come Bologna, tanto per fare l'esempio che conosco, ogni giorno arrivano mediamente 7/8 notizie di reato relative a maltrattamenti, stalking e altri reati di codice rosso. Il nostro dovere è occuparci di ogni fatto con attenzione, verificarne la fondatezza e filtrarne anche la gravità (come in un triage del pronto soccorso): le misure cautelari, rappresentando delle limitazioni della libertà di persone indagate ancora presunte non colpevoli (sulla base di un principio costituzionale essenziale del nostro stato di diritto), non possono applicarsi automaticamente o in modo indiscriminato (sarebbe come pretendere che tutte le persone che si recano al pronto soccorso debbano essere trattate con la medesima urgenza e coi medesimi strumenti; il risultato sarebbe quello di non curare adeguatamente i casi, ingolfando il sistema e producendo inefficienze ed errori).

Questo non vuol dire affatto che all'interno del procedimento penale non vi siano già degli ottimi strumenti per intervenire: infatti ogni settimana eseguiamo numerose misure cautelari e trattiamo positivamente decine di denunce anche senza fare arrivare a limitazioni preventive della libertà personaleNella mia esperienza quasi ventennale ho trattato migliaia di casi e non mi è mai capitato che accadesse l'irreparabile durante l'indagini e questo vale per la stragrande maggioranza dei magistrati impegnati su questo fronte insieme alle forze dell'ordine.

C'è un enorme foresta che cresce, fatta di procedimenti positivi, nei quali la vittima trova una risposta e le violenze vengono interrotte e poi sanzionate. Queste storie non vengono quasi mai raccontate, anche per ragioni di segretezza investigativa oltre che di privacy... Limitare la narrazione collettiva e pubblica alle vicende finite male offre una visione deformata e mistificante del lavoro di contrasto che viene fatto e che è nella gran parte dei casi positivo e tempestivo.

Ogni femminicidio è inaccettabile e resta una ferita per la società e per il mondo della giustizia e delle forze dell'ordine. Ogni donna maltrattata deve interpellare la nostra coscienza su cosa possiamo fare di più e meglio per proteggere in particolare il mondo femminile. Però non cadiamo nell'errore del puntare sempre in automatico il dito contro qualcuno, perché così facendo spesso commetteremmo un errore e faremmo qualcosa di inutile per un verso e dannoso per un altro.

Potremmo commettere un errore perché, come detto, non sempre abbiamo gli strumenti per impedire nel contesto delle indagini eventi anomali e che non sono stati anticipati da segnali di allarme che ci hanno consentito di intervenire.

Faremmo qualcosa di inutile e dannoso perché diffondendo sfiducia e alimentando l'idea falsa e qualunquista che tanto le cose non funzionano, che non serva denunciare, che giustizia e forze dell'ordine non intervengono e non proteggono... stiamo facendo sentire più vulnerabili e isolate le vittime, che quindi non troveranno il coraggio di denunciare e chiedere aiuto. 

Ci possono essere dei casi di errore umano e di scarsa professionalità e quelli vanno naturalmente individuati, stigmatizzati e vi devono essere le conseguenze previste dall'ordinamento per chi ne ha responsabilità. Questo però non può travolgere il lavoro che ogni giorno centinaia di magistrati e migliaia di poliziotti, carabinieri, avvocati e altri operatori sociali mettono in campo per aiutare, sostenere, proteggere, intervenire. 

Come nel bullismo, spesso la sensazione di debolezza e di inevitabilità che travolge la vittima è un fattore determinante perché si protragga e si aggravi il contesto di violenza e prevaricazione. 

Dare fiducia che invece esiste una via d'uscita, che vi sono strumenti di protezione efficace, che lo Stato c'è e non si è soli: tutto ciò è determinante per far emergere le storie sommerse di violenza, intervenire, proteggere la persona offesa e sanzionare il colpevole. 

Cerchiamo di informarci e di informare allora in modo intelligente e completo, analizzando e non semplicemente puntando il faro su ciò che può far aumentare il numero di clic. In questo modo crescerebbe la consapevolezza e la comprensione del problema e da un dibattito più lucido e completo potranno scaturire strategie migliori (non solo nell'ambito del processo penale...!) per non lasciare sola nessuna donna vittima di violenza.


giovedì 9 giugno 2022

Quello che penso dei referendum sulla giustizia

 

Il 12 giugno si potrà votare referendum sulla giustizia approvati dalla Corte Costituzionale. 

A questo link trovate una sintetica ed efficace sintesi dei complessi quesiti al vaglio: 

https://www.sistemapenale.it/it/scheda/referendum-giustizia-guida-lettura-quesiti


Credo che il compito della magistratura in un simile frangente della vita democratica sia anzitutto (se non esclusivamente) quello di informare e spiegare significato e ricadute dell'eventuale abrogazione, affinché i cittadini possano prendere una scelta consapevole.


Per questo, sollecitato anche dalle richieste di un parere di tanti amici che comprensibilmente faticano a orientarsi su questi temi, provo qui a fare una sintesi delle questioni da decidere.


1) primo quesito, scheda rossa: abolizione legge Severino

Votando sì verrebbero abrogate le norme che prevedono la sospensione degli amministratori locali in seguito a condanne anche soltanto di primo grado per alcuni gravi reati.

Tale norma era stata sospettata di incostituzionalità per violazione del principio di presunzione di non colpevolezza, venendo tuttavia sempre salvata dalla Corte Costituzionale che ha ritenuto tale disposizione diversa da una sanzione, trattandosi di tutelare i requisiti di dignità ed onore che, anche ai sensi dell'art. 54 della Costituzione, i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche devono garantire.

L'abrogazione travolgerebbe anche l'incandidabilità dei politici condannati in via definitiva.


2) secondo quesito, scheda arancione: limiti all'utilizzo delle misure cautelari

I proponenti sostengono che sia un quesito contro gli abusi, ma ciò mi pare uno slittamento di senso, perché in realtà vengono cancellate delle norme e non certo l'abuso di queste, che dipende dal merito e dai casi specifici.

Premessa: le misure cautelari non sono e non devono essere anticipazioni della pena, ma limitazioni (eccezionali) della libertà dei soggetti indagati o imputati (ancora presunti non colpevoli) quando ricorrono due presupposti:

a) gravi indizi di colpevolezza per reati di una certa gravità stabiliti dal legislatore

b) sussistenza di esigenza cautelari

Le esigenze cautelari sono di tre tipi:

i) inquinamento probatorio (caso assai raro)

ii) rischio di fuga (che ricorre già con più frequenza, ma difficilissimo da ipotizzare e dimostrare a carico dei residenti in Italia)

iii) rischio di reiterazione di delitti della stessa specie --> questa è l'esigenza cautelare che sostiene la stragrande maggioranza delle misure che oggi vengono disposte

Il quesito vuole cancellare la possibilità di usare misure cautelari (custodia in carcere, arresti domiciliari, allontanamento dalla casa famigliare, divieto di avvicinamento, ecc...) per reati diversi da quelli di criminalità organizzata, di eversione o commessi con armi o con violenza.

In pratica non sarà possibile disporre alcuna misura in una serie molto vasta di casi. Ecco qualche esempio dei casi più comuni che potremmo immaginare:

- furti (compresi quelli in abitazione) e altri reati contro patrimonio (salvo solo le rapine commesse con armi o violenza)

- spaccio di stupefacenti anche in quantità rilevanti (se non ricorre l'associazione)

- reati contro la Pubblica Amministrazione (corruzione, concussione, ecc..)

Vi è la possibilità che si ritengano non applicabili le misure cautelari anche ai casi di maltrattamenti e atti persecutori che non siano commessi con violenza fisica, sebbene si possa ricorrere a un concetto di violenza di genere più ampio; l'effetto concreto dovrà eventualmente misurarsi con la giurisprudenza.


3) terzo quesito, scheda gialla: separazione delle funzioni

Oggi la Costituzione stabilisce che si diventa magistrati tramite un unico concorso pubblico: successivamente il magistrato potrà scegliere se esercitare le funzioni di giudice (penale o civile) ovvero di pubblico ministero (colui che fa le indagini e sostiene l'accusa nei processi).

Oggi è possibile cambiare le funzioni, seppure con una serie di limitazioni: si possono cambiare per massimo 4 volte (ma la riforma Cartabia si propone già di ridurre le chance si cambiamento ad una sola!), devono passare almeno 4 anni tra un cambiamento e l'altro e tendenzialmente è necessario cambiare regione per poter cambiare funzione. Anche in virtù di questi numerosi paletti oggi esistenti, già adesso il cambiamento di funzioni è un fenomeno estremamente ridotto: negli ultimi 16 anni solo 39 colleghi hanno cambiato le funzioni due volte e solo un collega l'ha fatto quattro volte.

Chi sostiene la separazione delle funzioni mira alla separazione anche delle carriere, che dovrebbe vedere una modifica della Costituzione, ritenendo che solo questo assicurerebbe un giudice terzo. Chi difende le carriere unite sottolinea che è importante che anche il pubblico ministero condivida una forte cultura della giurisdizione e non finisca per perdere la sua indipendenza, che è posta a tutela dell'uguaglianza dei cittadini e non quale privilegio dello stesso.


4) quarto quesito, scheda grigia: valutazione professionale dei magistrati

Il quesito vuole consentire che anche gli avvocati partecipino alla valutazione dei magistrati nell'ambito dei Consigli Giudiziari, i quali redigono pareri che poi vengono definitivamente approvati dal Consiglio Superiore della Magistratura.

Tutti i magistrati sono valutati ogni 4 anni per sette volte.

La trasparenza di queste valutazioni è sicuramente un'esigenza sentita e la ritengo un valore. Quello che mi preme sottolineare, lavorando da due anni proprio nel Consiglio Giudiziario di Bologna, è che il timore è che non cambierà nulla con questo referendum, che peraltro determinerebbe una modifica equivalente a quella che anche la riforma Cartabia prevede.

Dico questo per due ragioni:

- già adesso l'avvocatura potrebbe fare segnalazione di criticità relative al singolo magistrato, ma questo non avviene mai; la presenza al momento della valutazione allora rischia di assumere un significato più simbolico (o ideologico?) se non contribuisce ad aumentare gli elementi di conoscenza

- anche oggi il problema di far emergere gli eventuali profili critici di un magistrato non è tanto legato alla mancanza di volontà dei colleghi che devono valutare (che pure può essere un fattore, anche se non dovrebbe...), quanto soprattutto alla mancanza di fonti di conoscenza formali e utilizzabili che possano dimostrare quanto si vuole evidenziare

Il referendum, così come la riforma Cartabia, si pongono un obiettivo anche condivisibile, ma la soluzione è ideologica e semplicistica, mentre il tema delle valutazioni andrebbe affrontato nella sua complessità e con ben altre strategie.

Rischiamo, come al solito, di cambiare tutto perché le cose restino in realtà come sono (la valutazione dei magistrati introdotto dal 2006 è oggi un grande fardello burocratico che non produce gli effetti promessi e sperati)


5) quinto quesito, scheda verde: elezione dei componenti togati del CSM

Il referendum vuole abrogare l'obbligo di presentare 25 firme per potersi candidare al Consiglio Superiore della Magistratura (l'organo costituzionale di autogoverno).

L'obiettivo è quello di diminuire la forza delle correnti interne alla magistratura. Difficile che tale obiettivo possa realizzarsi: se un magistrato non riesce nemmeno ad avere il sostegno di 25 firme, come potrà essere eletto al posto di candidati che provengono da gruppi organizzati e radicati?

Gli scandali legati al CSM ci sono stati e sono una grave macchia di credibilità, ma non credo che possiamo pensare di risolverli così ovvero limitando la libertà di associazione (che è garantita dalla Costituzione).

Sono persuaso che il virus che ha prodotto degenerazioni interne è il carrierismo, ovvero l'inseguimento di incarichi direttivi, laddove la Costituzione vorrebbe i magistrati distinti solo per funzioni e senza gerarchie di altro genere.


Un'ultima riflessione.

Mentre nelle elezioni politiche andare a votare rappresenta un diritto\dovere e non votando di fatto si lascia la decisione agli altri, per i referendum i Costituenti hanno volutamente posto un quorum: se non vota il 50% + 1 degli aventi diritto il risultato non avrà alcun effetto.

La Costituzione ben conosceva i rischi del populismo e delle manipolazioni di regime e voleva evitare che tramite il referendum passassero questioni che non fossero effettivamente sentite come di ampia e grande rilevanza collettiva. Questo anche per impedire che i referendum non degenerassero in appelli a risposte binarie, poco adatte a risolvere questioni complesse e che richiedono discussioni approfondite e riforme articolate.

Per questo è legittima anche l'opzione di chi, ritenendo che si tratti di quesiti non chiari e non adatti allo strumento referendario, scelga di non partecipare al voto per non contribuire al raggiungimento del quorum.


La speranza è che, al di là degli esiti del referendum, si colga questo passaggio e la discussione sulla riforma Cartabia per un forte coinvolgimento dei cittadini sul tema giustizia, che da troppo tempo attende risposte efficaci e credibili.


sabato 30 aprile 2022

Recuperare credibilità e diventare parte del cambiamento

Scioperare o non scioperare contro la riforma della giustizia appena approvata dalla Camera?

Io sono convinto che sarebbe un errore scioperare, un ulteriore passo verso l’isolamento dal Paese. Un errore di metodo anzitutto, perché non aiuterebbe a spiegare le nostre ragioni fornendo facile occasione ai detrattori per strumentalizzare la polemica. Ma anche un errore di merito e di contenuto, perché la riforma ha limiti e difetti, ma non possiamo negare che affronti dei problemi reali.

Il rischio della magistratura non è semplicemente di non essere compresa, ma che gran parte dei cittadini pensino di aver invece capito benissimo, perché la perdita di fiducia e di credibilità è una ferita aperta ed è sotto gli occhi di chiunque li voglia aprire.

Il problema è che la fiducia non è un optional per chi fa il mestiere del giudice o del Pubblico Ministero; la credibilità per noi è una necessità.

Le leggi, così come le sentenze, sono pezzi di carta, inermi: è vero che ci sono i modi per far sanzionare le violazioni e far eseguire le decisioni, ma un sistema funziona e regge solo fino a quando la maggioranza è persuasa della sua legittimità.

Indubbiamente la riforma che verrà ora discussa in Senato presente dei rischi e delle criticità… soprattutto quelle magistralmente spiegate da Ferrarella in un articolo dei giorni scorsi sul Corriere della Sera: enfatizzare i numeri e il dato della tenuta delle decisioni e delle indagini può spingere verso un modello di magistrato timido, conformista, che cerca il consenso invece della verità processuale, che non osa innovare l’interpretazione, che evita l’indagine scomoda. In definitiva, un burocrate dedito al mero mantenimento dello status quo e non l’espressione autonoma e indipendente del potere giurisdizionale, un attore vivo della realizzazione del disegno costituzionale.

Questo grave rischio va spiegato e denunciato, ma è anche vero che il presente è pieno di problemi evidenti che da troppo tempo non abbiamo dimostrato di saper o di voler risolvere: il carrierismo, le degenerazioni correntizie, l’incapacità di far emergere le criticità al momento delle valutazioni di professionalità, un’organizzazione non sempre all’altezza…

Con atteggiamento di retroguardia, ci nascondiamo dietro a grandi ideali, dimenticando di assumerci le nostre responsabilità e di affrontare davvero le criticità che hanno minato la nostra credibilità.

Il “NO” non basta più… ed era prevedibile che intervenisse la politica, questa volta sulla spinta del PNRR.

Penso che parte della politica creda davvero che la riforma possa migliorare le cose, anche se certamente una componente non trascurabile è mossa anche da intenti punitivi e da un desiderio non troppo celato di “rimettere al suo posto” la magistratura dopo una lunga stagione di espansione della sua forza di intervento (o presunta tale).

Di fronte a questo scenario sono convinto che l’unica strada sia quella di raccogliere la sfida e portare proposte concrete, comunicando ai cittadini che non abbiamo paura di assumerci le nostre responsabilità e però chiediamo anche di essere messi in condizione di lavorare meglio e di difendere la nostra autonomia e indipendenza, perché queste ultime non sono privilegi di una casta ma garanzie indispensabili per i cittadini e per la piena affermazione dello stato di diritto.

E allora, invece dello sciopero, apriamo i nostri uffici, incontriamo i cittadini, dialoghiamo con l’avvocatura e tutta la società, spieghiamo le peculiarità e difficoltà del nostro lavoro, facciamoci promotori di proposte coraggiose di apertura e rinnovamento.

Qualche esempio?

1) accogliamo l’ingresso degli avvocati anche nelle sessioni dei Consigli Giudiziari che si occupano di valutazione di professionalità dei magistrati, chiedendo al tempo stesso che vengano ampliate e stimolate le fonti di conoscenza, perché altrimenti non riusciremo a far emergere il vero profilo

2) chiediamo noi per primi i numeri sulla tenuta delle nostre decisioni e delle nostre indagini nei tre gradi (la vera assurdità è che non li abbiamo mai avuti!), ma non (sol)tanto per dare un ulteriore elemento di conoscenza nel contesto della valutazione, ma soprattutto per conoscere meglio il nostro lavoro e migliorare con l’esperienza

3) chiediamo che venga smantellato il sistema di carriere interne che sta svuotando di significato l’enunciato costituzionale per cui dovremmo distinguerci solo per funzioni: meno posti direttivi e semidirettivi e soprattutto un tendenziale obbligo di tornare alle funzioni “semplici” dopo aver dato il proprio servizio negli incarichi dirigenziali e organizzativi

4) apriamo una grande discussione per migliorare il percorso che porta alla selezione e all’accesso in magistratura; oggi ci sono a mio modo di vedere almeno due grandi problemi da risolvere:

o   i tempi verso il traguardo finale del concorso sono tali da dare un vantaggio a chi proviene da famiglie più agiate che si possono sostenere gli studi e poi altri anni di tirocinio senza guadagni e con entrate del tutto modeste e precarie

o   la selezione è tutta focalizzata sulla preparazione giuridica e ciò non consente di esaminare altre doti essenziali per essere un buon magistrato, quali l’organizzazione, l’equilibrio, la capacità di lavorare in gruppo, ecc… (le c.d. “soft skills”)

Si potrebbe andare avanti ma sto già abusando della pazienza del lettore. Quello che però non possiamo fare è stare fermi o tornare indietro.

Il Paese ha bisogno di una magistratura responsabile, moderna, efficiente e assolutamente indipendente e autonoma dal potere politico.

Lo scandalo “Palamara” ha messo giustamente al centro le degenerazioni del nostro sistema di autogoverno, ma è allarmante notare che, sull’altro versante, la politica non abbia invece fatto alcun esame di coscienza, nonostante il fatto più grave emerso fosse probabilmente quello per cui alcuni politici stavano cercando di condizionare la scelta del dirigente della Procura di Roma…

Basterebbe questo a ricordarci e dimostrare quanto sia fondamentale garantire una piena autonomia di tutta la magistratura, compresi i pubblici ministeri, che sono il motore della giurisdizione penale e che devono essere liberi di fare un rigoroso controllo di legalità verso ogni forma di potere corrotto o criminale.

Ma per essere liberi, dobbiamo essere credibili e responsabili.

Perché “la libertà aumenta la responsabilità” (V. Hugo)

martedì 12 aprile 2022

Tra cattive riforme e difesa dello status quo

 

La pagella del magistrato preoccupa e ha tutto il sapore dell’ennesima riforma punitiva e frutto di sfiducia verso la magistratura.

Sento che dentro l’Anm monta la protesta e si parla anche di sciopero.

Vero è che da anni si cumulano provvedimenti che vanno limitando l’autonomia e l’indipendenza e che rischiano di spingere, culturalmente oltre che tramite le norme, verso un modello di magistrato burocrate, che per non rischiare farà solo le indagini comode e prenderà solo le decisioni scontate, un magistrato preoccupato più della sua tranquillità e magari concentrato sulla sua carriera.

È un rischio che aleggia da tempo e che non va sottovalutato.

Tuttavia mi sembra che come magistratura ci muoviamo ancora una volta tardi e solo in difesa (viene da pensare che davvero il calcio sia un’immagine del Paese..).

Non che non siano state fatte anche dall’ANM varie proposte in questi anni, ma non è un caso o un complotto se veniamo visti come una corporazione che fa battaglie di retroguardia, unita solo sui NO difensivi, ma incapace di farsi portatrice di una strategia vera di riforma interna, di modernizzazione e di responsabilità.

Prendiamo il tema delle pagelle e della verifica della tenuta dei processi, cartina tornasole della qualità del bravo o cattivo magistrato.

Il tema richiederebbe ben più spazio, ma è intuitivo a chiunque frequenti le aule di Tribunale che la tenuta dei provvedimenti di un magistrato (ovvero il fatto che le richieste o le decisioni vengano confermate e diventino definitive) è un indice importante, seppure non l’unico e nemmeno sempre totalmente affidabile.

È noto che ci siano materie strutturalmente più difficili e con un maggiore rischio di perdita della forza delle prove in dibattimento rispetto al momento delle indagini: penso ai maltrattamenti (con le tante ritrattazioni delle persone offese che si riconciliano con il loro carnefice) o ai reati contro la pubblica amministrazione, processi densi di trappole in fatto e in diritto.

Naturalmente quei numeri non devono esaurire la valutazione del lavoro di un magistrato, ma sono una realtà con cui fare i conti e che può segnalare anomalie e problemi.

Dietro questa complessità noi ci siamo nascosti, chiedendo ai cittadini di fidarsi di noi a prescindere.

Eppure, tanto per dirne una, ogni anno le condanne per ingiusta detenzione sono costate 26 milioni di euro allo Stato (https://www.repubblica.it/politica/2022/03/26/news/errori_giudiziari_26_milioni_di_euro-342904422/): è sempre colpa di altri o di nessuno? O avremmo da tempo dovuto porci delle domande?

Temevo da anni che sarebbe arrivata una riforma punitiva se non avessimo affrontato il nodo della tenuta dei nostri provvedimenti. Siamo come medici di prima linea che non conoscono l'efficacia e gli esiti dei propri interventi.

Quei numeri dovevamo chiederli noi per responsabilità e desiderio di crescita.

Adesso ce li chiedono altri per intenti principalmente intimidatori...e ci ritroviamo incastrati in una battaglia che verrà vista come di retroguardia e di difesa corporativa, mentre nel frattempo la fiducia dei cittadini verso di noi è scesa ulteriormente.

Forse siamo fuori tempo massimo, ma è ancora fondamentale recuperare almeno la consapevolezza della necessità di una riforma e di assumerci le nostre responsabilità.

Le cattive riforme mi preoccupano. Ma più ancora mi preoccupa la difesa dello status quo.