"the problems we all live with" di norman rockwell

sabato 30 aprile 2022

Recuperare credibilità e diventare parte del cambiamento

Scioperare o non scioperare contro la riforma della giustizia appena approvata dalla Camera?

Io sono convinto che sarebbe un errore scioperare, un ulteriore passo verso l’isolamento dal Paese. Un errore di metodo anzitutto, perché non aiuterebbe a spiegare le nostre ragioni fornendo facile occasione ai detrattori per strumentalizzare la polemica. Ma anche un errore di merito e di contenuto, perché la riforma ha limiti e difetti, ma non possiamo negare che affronti dei problemi reali.

Il rischio della magistratura non è semplicemente di non essere compresa, ma che gran parte dei cittadini pensino di aver invece capito benissimo, perché la perdita di fiducia e di credibilità è una ferita aperta ed è sotto gli occhi di chiunque li voglia aprire.

Il problema è che la fiducia non è un optional per chi fa il mestiere del giudice o del Pubblico Ministero; la credibilità per noi è una necessità.

Le leggi, così come le sentenze, sono pezzi di carta, inermi: è vero che ci sono i modi per far sanzionare le violazioni e far eseguire le decisioni, ma un sistema funziona e regge solo fino a quando la maggioranza è persuasa della sua legittimità.

Indubbiamente la riforma che verrà ora discussa in Senato presente dei rischi e delle criticità… soprattutto quelle magistralmente spiegate da Ferrarella in un articolo dei giorni scorsi sul Corriere della Sera: enfatizzare i numeri e il dato della tenuta delle decisioni e delle indagini può spingere verso un modello di magistrato timido, conformista, che cerca il consenso invece della verità processuale, che non osa innovare l’interpretazione, che evita l’indagine scomoda. In definitiva, un burocrate dedito al mero mantenimento dello status quo e non l’espressione autonoma e indipendente del potere giurisdizionale, un attore vivo della realizzazione del disegno costituzionale.

Questo grave rischio va spiegato e denunciato, ma è anche vero che il presente è pieno di problemi evidenti che da troppo tempo non abbiamo dimostrato di saper o di voler risolvere: il carrierismo, le degenerazioni correntizie, l’incapacità di far emergere le criticità al momento delle valutazioni di professionalità, un’organizzazione non sempre all’altezza…

Con atteggiamento di retroguardia, ci nascondiamo dietro a grandi ideali, dimenticando di assumerci le nostre responsabilità e di affrontare davvero le criticità che hanno minato la nostra credibilità.

Il “NO” non basta più… ed era prevedibile che intervenisse la politica, questa volta sulla spinta del PNRR.

Penso che parte della politica creda davvero che la riforma possa migliorare le cose, anche se certamente una componente non trascurabile è mossa anche da intenti punitivi e da un desiderio non troppo celato di “rimettere al suo posto” la magistratura dopo una lunga stagione di espansione della sua forza di intervento (o presunta tale).

Di fronte a questo scenario sono convinto che l’unica strada sia quella di raccogliere la sfida e portare proposte concrete, comunicando ai cittadini che non abbiamo paura di assumerci le nostre responsabilità e però chiediamo anche di essere messi in condizione di lavorare meglio e di difendere la nostra autonomia e indipendenza, perché queste ultime non sono privilegi di una casta ma garanzie indispensabili per i cittadini e per la piena affermazione dello stato di diritto.

E allora, invece dello sciopero, apriamo i nostri uffici, incontriamo i cittadini, dialoghiamo con l’avvocatura e tutta la società, spieghiamo le peculiarità e difficoltà del nostro lavoro, facciamoci promotori di proposte coraggiose di apertura e rinnovamento.

Qualche esempio?

1) accogliamo l’ingresso degli avvocati anche nelle sessioni dei Consigli Giudiziari che si occupano di valutazione di professionalità dei magistrati, chiedendo al tempo stesso che vengano ampliate e stimolate le fonti di conoscenza, perché altrimenti non riusciremo a far emergere il vero profilo

2) chiediamo noi per primi i numeri sulla tenuta delle nostre decisioni e delle nostre indagini nei tre gradi (la vera assurdità è che non li abbiamo mai avuti!), ma non (sol)tanto per dare un ulteriore elemento di conoscenza nel contesto della valutazione, ma soprattutto per conoscere meglio il nostro lavoro e migliorare con l’esperienza

3) chiediamo che venga smantellato il sistema di carriere interne che sta svuotando di significato l’enunciato costituzionale per cui dovremmo distinguerci solo per funzioni: meno posti direttivi e semidirettivi e soprattutto un tendenziale obbligo di tornare alle funzioni “semplici” dopo aver dato il proprio servizio negli incarichi dirigenziali e organizzativi

4) apriamo una grande discussione per migliorare il percorso che porta alla selezione e all’accesso in magistratura; oggi ci sono a mio modo di vedere almeno due grandi problemi da risolvere:

o   i tempi verso il traguardo finale del concorso sono tali da dare un vantaggio a chi proviene da famiglie più agiate che si possono sostenere gli studi e poi altri anni di tirocinio senza guadagni e con entrate del tutto modeste e precarie

o   la selezione è tutta focalizzata sulla preparazione giuridica e ciò non consente di esaminare altre doti essenziali per essere un buon magistrato, quali l’organizzazione, l’equilibrio, la capacità di lavorare in gruppo, ecc… (le c.d. “soft skills”)

Si potrebbe andare avanti ma sto già abusando della pazienza del lettore. Quello che però non possiamo fare è stare fermi o tornare indietro.

Il Paese ha bisogno di una magistratura responsabile, moderna, efficiente e assolutamente indipendente e autonoma dal potere politico.

Lo scandalo “Palamara” ha messo giustamente al centro le degenerazioni del nostro sistema di autogoverno, ma è allarmante notare che, sull’altro versante, la politica non abbia invece fatto alcun esame di coscienza, nonostante il fatto più grave emerso fosse probabilmente quello per cui alcuni politici stavano cercando di condizionare la scelta del dirigente della Procura di Roma…

Basterebbe questo a ricordarci e dimostrare quanto sia fondamentale garantire una piena autonomia di tutta la magistratura, compresi i pubblici ministeri, che sono il motore della giurisdizione penale e che devono essere liberi di fare un rigoroso controllo di legalità verso ogni forma di potere corrotto o criminale.

Ma per essere liberi, dobbiamo essere credibili e responsabili.

Perché “la libertà aumenta la responsabilità” (V. Hugo)

martedì 12 aprile 2022

Tra cattive riforme e difesa dello status quo

 

La pagella del magistrato preoccupa e ha tutto il sapore dell’ennesima riforma punitiva e frutto di sfiducia verso la magistratura.

Sento che dentro l’Anm monta la protesta e si parla anche di sciopero.

Vero è che da anni si cumulano provvedimenti che vanno limitando l’autonomia e l’indipendenza e che rischiano di spingere, culturalmente oltre che tramite le norme, verso un modello di magistrato burocrate, che per non rischiare farà solo le indagini comode e prenderà solo le decisioni scontate, un magistrato preoccupato più della sua tranquillità e magari concentrato sulla sua carriera.

È un rischio che aleggia da tempo e che non va sottovalutato.

Tuttavia mi sembra che come magistratura ci muoviamo ancora una volta tardi e solo in difesa (viene da pensare che davvero il calcio sia un’immagine del Paese..).

Non che non siano state fatte anche dall’ANM varie proposte in questi anni, ma non è un caso o un complotto se veniamo visti come una corporazione che fa battaglie di retroguardia, unita solo sui NO difensivi, ma incapace di farsi portatrice di una strategia vera di riforma interna, di modernizzazione e di responsabilità.

Prendiamo il tema delle pagelle e della verifica della tenuta dei processi, cartina tornasole della qualità del bravo o cattivo magistrato.

Il tema richiederebbe ben più spazio, ma è intuitivo a chiunque frequenti le aule di Tribunale che la tenuta dei provvedimenti di un magistrato (ovvero il fatto che le richieste o le decisioni vengano confermate e diventino definitive) è un indice importante, seppure non l’unico e nemmeno sempre totalmente affidabile.

È noto che ci siano materie strutturalmente più difficili e con un maggiore rischio di perdita della forza delle prove in dibattimento rispetto al momento delle indagini: penso ai maltrattamenti (con le tante ritrattazioni delle persone offese che si riconciliano con il loro carnefice) o ai reati contro la pubblica amministrazione, processi densi di trappole in fatto e in diritto.

Naturalmente quei numeri non devono esaurire la valutazione del lavoro di un magistrato, ma sono una realtà con cui fare i conti e che può segnalare anomalie e problemi.

Dietro questa complessità noi ci siamo nascosti, chiedendo ai cittadini di fidarsi di noi a prescindere.

Eppure, tanto per dirne una, ogni anno le condanne per ingiusta detenzione sono costate 26 milioni di euro allo Stato (https://www.repubblica.it/politica/2022/03/26/news/errori_giudiziari_26_milioni_di_euro-342904422/): è sempre colpa di altri o di nessuno? O avremmo da tempo dovuto porci delle domande?

Temevo da anni che sarebbe arrivata una riforma punitiva se non avessimo affrontato il nodo della tenuta dei nostri provvedimenti. Siamo come medici di prima linea che non conoscono l'efficacia e gli esiti dei propri interventi.

Quei numeri dovevamo chiederli noi per responsabilità e desiderio di crescita.

Adesso ce li chiedono altri per intenti principalmente intimidatori...e ci ritroviamo incastrati in una battaglia che verrà vista come di retroguardia e di difesa corporativa, mentre nel frattempo la fiducia dei cittadini verso di noi è scesa ulteriormente.

Forse siamo fuori tempo massimo, ma è ancora fondamentale recuperare almeno la consapevolezza della necessità di una riforma e di assumerci le nostre responsabilità.

Le cattive riforme mi preoccupano. Ma più ancora mi preoccupa la difesa dello status quo.