"the problems we all live with" di norman rockwell

lunedì 20 ottobre 2014

Di che cosa parliamo quando parliamo di sentenze?

Il deposito delle motivazioni con cui la Corte d'Appello di Milano ha mandato assolto Silvio Berlusconi nella vicenda c.d. "Ruby" (che potete trovare qui http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/3364-caso_berlusconi_ruby__le_motivazioni_della_sentenza_della_corte_d_appello_di_milano/) ha aperto due fronti di discussione che temo finiscano per confondere ancora di più i cittadini e per indebolire la loro fiducia nella giustizia e nelle istituzioni.

Per un verso si è detto che quella assoluzione è figlia della modifica fatta dalla legge Severino ai reati di corruzione e concussione.
Non intendo entrare nel merito della vicenda, ma ritengo importante fare alcuni ragionamenti di carattere generale.

Intanto mettiamo ordine (seppure semplificando terribilmente!).
Siamo di fronte a corruzione quando pubblico ufficiale corrotto e corruttore si accordano per un reciproco vantaggio aderendovi liberamente (ad esempio il pubblico ufficiale si prende la tangente o altra utilità e il privato ottiene quel che gli serve... come si trattasse di un contratto illecito).
Il reato di concussione era costruito invece come una sorta di estorsione realizzata dal pubblico ufficiale, che costringeva la vittima a dargli denaro o altra utilità (non più un accordo, ma una costrizione mediante violenza o minaccia, in cui la controparte diventa vittima non punibile invece che complice).

La legge Severino (n. 190 del 2012) ha innovato in particolare smembrando il reato di concussione in due fattispecie:
- quando il pubblico ufficiale costringe in maniera assoluta, la controparte sarà una semplice vittima (concussione per costrizione, 317 cp)
- quando il pubblico ufficiale induce ma non costringe, la controparte è anch'essa punita seppure con pena inferiore (induzione indebita, 319 quater c.p.)

Queste nuove norme non prevedono esplicitamente un nuovo elemento costitutivo per il delitto di concussione per induzione, tuttavia le Sezioni Unite della Cassazione (SSUU 24/10/2013 n. 12228http://www.penalecontemporaneo.it/materia/2-/19-/-/3285-sulle_differenze_tra_i_delitti_di_concussione_e_di_induzione_indebita_a_dare_o_promettere_utilit_/) hanno ritenuto di indicare di fatto un nuovo elemento che deve essere provato proprio per la fattispecie di induzione indebita (319 quater cp), ovvero un "indebito vantaggio" per il concusso, che proprio perché non più solo vittima ma complice cederebbe alla pressione del pubblico ufficiale ma per un tornaconto, che deve essere dimostrato dall'accusa.
Secondo la Corte d'Appello di Milano, per venire al nostro caso, nel processo a Berlusconi sarebbe mancata proprio la prova di questo indebito vantaggio per Ostuni, oltre ad aver ritenuto carente anche la prova del fatto che l'imputato sapesse della minore età della ragazza. 
Di qui l'assoluzione su entrambi i capi di imputazione.

Gli argomenti, tra gli altri, di Marco Travaglio (http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/17/processo-ruby-avevamo-ragione-noi/1158741/) mi sembrano forzati e mirano a dare una lettura tutta politica e strumentale alle modifiche, senza chiarire che invece per l'assoluzione di Berlusconi è stata determinante soprattutto l'interpretazione che della legge Severino ha dato la Cassazione, e non semplicemente la legge di per sé (della qui bontà o meno si dovrebbe discutere a prescindere egli effetti sul caso specifico).

Se non vogliamo leggi ad personam dobbiamo anche evitare ragionamenti ed interpretazioni contra personam.

Inoltre, dovremmo tornare ad essere capaci di censurare eticamente i comportamenti, senza pretendere che per questi vi sia una condanna penale! Una condotta può ben essere illegittima, inopportuna o eticamente censurabile senza che per questo sia un reato.
Questo vale tanto di più per gli uomini con responsabilità pubbliche, che non solo devono rispettare la legge (come tutti), ma farlo anche con disciplina ed onore... (articolo 54 Costituzione)

Delegare il giudizio politico e morale al processo penale è uno dei grandi mali della discussione pubblica e politica di questo Paese.
Ai processi dobbiamo chiedere di ricostruire i fatti ma non possiamo affidare loro il giudizio sulle persone e sulle conseguenze politiche delle loro azioni.

Altro fattore di disorientamento in questa vicenda sono le dimissioni del Presidente del collegio di tre giudici che ha assolto Berlusconi.
Un autorevole firma del Corriere della Sera (Ferrarella) ha scritto che queste dimissioni sarebbero intervenute non a caso subito dopo il deposito delle motivazioni (scritte da un altro giudice), proprio a manifestare il faticoso rispetto ma anche l'insofferenza verso una decisione che sarebbe stata presa a maggioranza contro la sua opinione.

Questa ricostruzione (e quindi la correlazione tra decisione presa e dimissioni) non è stata direttamente smentita e ovviamente si sono aperte interpretazioni e la dietrologia ha fatto il suo corso.
Tutto questo danneggia l'autorevolezza della sentenza e del collegio che ha preso questa decisione, che può essere discussa ma va rispettata e potrà essere superata o smentita solo da una diversa interpretazione della Cassazione.
Quanto accade nella camera di consiglio, ovvero nello spazio riservatissimo in cui i tre giudici di un collegio discutono liberamente e prendono la decisione, è assolutamente segreto proprio per evitare di indebolire l'unica parola che ha valore, ovvero quella del dispositivo della sentenza e delle sue motivazioni.

Penso anche alle esternazioni di De Magistris, che ben poteva anche aspramente criticare nel merito la decisione di condannare lui e Genchi (ne avrebbe avuto e ne avrà gli argomenti...), ma il punto di partenza doveva essere (soprattutto per un magistrato e un uomo delle istituzioni) accettare la decisione e le sue conseguenze.
La strada, a mio modesto parere, era quella di prendere atto della sentenza, dimettersi e dal minuto successivo combattere in tutti i modi per vedersi riconosciute le proprie ragioni nel processo, senza per ciò dover delegittimare e attaccare i magistrati, con una modalità che ricorda tristemente da vicino quegli uomini pubblici irresponsabili che lo stesso De Magistris si riprometteva di combattere con il suo impegno in politica.

La difesa della legalità passa attraverso il rispetto delle regole e delle istituzioni e non contro di queste e a prescindere da queste.










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