"the problems we all live with" di norman rockwell

lunedì 3 novembre 2014

CUCCHI: AUTORITARI O AUTOREVOLI?

Nella vicenda dell'assoluzione nel processo per la morte di Stefano Cucchi credo che l'accento vada posto proprio sul fallimento che ad oggi c'è stato nel trovare le responsabilità di un fatto tanto grave.
Magistratura, forze dell'ordine, sistema sanitario... tutti dobbiamo sentirci interpellati e indignati per un fatto del genere e la verità va cercata oltre ogni omertà.

Il problema non è la sentenza, che va rispettata come esito nel quale non si sono provate al di là di ogni ragionevole dubbio le singole specifiche responsabilità.


Andrebbe piuttosto fatta una profonda riflessione sulle ragioni per cui troppo spesso fatichiamo ad accertare verità e responsabilità quando i reati sono commessi da membri delle istituzioni, ed il caso dei reati subiti dai detenuti è tra i più preoccupanti (lo dico con profonda amarezza anche per esperienza personale).


Dobbiamo avere la forza di rispettare e comprendere le enormi difficoltà di chi lavora in certi contesti (ci sono persone di enorme valore e senso delle istituzioni), garantendo al tempo stesso la massima serietà e trasparenza quando vengono segnalati fatti illeciti ed emergono condotte comunque non corrette.

In questi casi ci giochiamo la credibilità: vogliamo apparire autoritari o diventare autorevoli? Vogliamo uno Stato di diritto o di polizia?

L'autorevolezza discende anche, se non soprattutto, dalla capacità di riconoscere e correggere i propri errori e di sanzionare chi abusa del potere.

Qualsiasi atteggiamento indulgente o corporativo deve essere cancellato.

Per questo è una grande ferita l'atmosfera omertosa che circonda certi ambienti e certi vicende...

Lasciamo il silenzio alle mafie.
Chi lavora per le istituzioni (che sia magistrato o poliziotto, insegnante o infermiere) deve parlare ed essere trasparente, perché anche i suoi silenzi e le sue omissioni macchiano l'istituzione intera.

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Riporto di seguito il comunicato di Magistratura Democratica

Cinque anni e due gradi di giudizio non hanno consentito di accertare responsabilità penali per la morte di Stefano Cucchi e tuttavia è stato provato in giudizio che egli fu vittima di violenza mentre si trovava in stato di arresto.
E’ una sconfitta per lo Stato, che può privare della libertà personale chi sia gravemente indiziato di un reato, ma ha il dovere indefettibile di garantirne l’incolumità.
E’ una sconfitta per le forze dell'ordine, che, ancora una volta, non hanno saputo collaborare lealmente all’accertamento della verità.
E’ una sconfitta per il sistema penitenziario e per il Servizio Sanitario Nazionale che non hanno saputo assicurare assistenza e cure adeguate a chi ne aveva bisogno.
E’ una sconfitta per il sistema giudiziario nel suo complesso, e non perché gli imputati sono stati assolti (in uno Stato di diritto la responsabilità penale è personale), ma perché quel sistema non ha saputo infondere in un giovane arrestato - pur assistito da un Difensore e interrogato da un Giudice in udienza di convalida - la fiducia di cui avrebbe avuto bisogno per denunciare chi, con grave violazione dei propri doveri, aveva attentato alla sua integrità fisica.
Questa sconfitta ci coinvolge come Magistrati e come cittadini: ci interroga sulla capacità del sistema di assicurare effettiva tutela ai diritti violati; ci sfida ad affinare le nostre capacità di ascolto e la nostra attenzione per le vicende umane sottese ad ogni procedimento; ci impone un rinnovato impegno a presidio delle garanzie e a tutela dei diritti di chi è debole e non ha altra forza che quella che la Legge gli riconosce.
C’è molto su cui riflettere, tanto più in un tempo in cui, troppo spesso, la giurisdizione viene rappresentata come un orpello inutile e vetusto.
Il Comitato Esecutivo di Magistratura democratica

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