"the problems we all live with" di norman rockwell

sabato 14 maggio 2011

per non dimenticare l'articolo 27...

In questi anni di basso impero è difficile alzare lo sguardo e cercare di volare alto; eppure non possiamo rassegnarci a far dettare l'agenda delle riforme in campo di giustizia dagli imprenditori della paura che sfruttano l'emotività della massa e un'informazione spesso immatura.


Ecco perché  oggi vorrei cominciare a parlare di pena....
Le condizioni delle carceri e l'uso della pena sono una cartina tornasole importantissima della civiltà di un paese...e il nostro stato di salute è pessimo.


In questi anni l'unica risposta che si è saputo dare ai problemi è quella dell'aumento della sanzioni : in questa direzione si inseriscono ad esempio i numerosi (ed estemporanei) pacchetti sicurezza.
Ma la c.d. sicurezza che nasce dalla paura non sarà mai capace di portare soluzioni vere e durature : essere duri è spesso soltanto la soluzione più semplice, facilmente spendibile da una politica ridotta a propaganda...
La speranza nel futuro e il coraggio di dare una nuova chance a chi ha sbagliato sono le vere virtù del forte.


Serve lucidità e coraggio (doti non proprio diffusissime nel nostro dibattito pubblico) per aiutare i cittadini (non la massa...) a comprendere che la risposta repressiva deve essere sempre equilibrata, proporzionale, mirata. La giustizia penale non è uno strumento di vendetta e ciò non solo per un fatto di civiltà ma anche perché una pena equa e che rispetta la dignità della persona è anche la vera speranza per reinserire chi ha sbagliato nella società.


L'odio sparge sale sulle ferita e non aiuta né la vittima né il condannato. La società deve farsi carico di quello strappo rappresentato dal reato: non solo per punirlo, ma anche per comprendere come ciò si sia generato e ricucire le ferite.


Chi si occupa di pena e di carcere può testimoniare come la durezza del carcere non induce ad alcun ripensamento o assunzione di responsabilità, generando solo ulteriore rancore, rabbia e chiusuraSe la pena è invece equilibrata, se il carcere diventa un luogo umanizzante e aperto e non un ghetto dove esiliare gli emarginati... allora possiamo coltivare la speranza di realizzare il precetto costituzionale :


articolo 27
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.


Non si tratta di buonismo : le politiche fatte solo di repressione hanno storicamente fallito (pensate alla droga... di cui magari parleremo con calma) e falliscono perché non vanno alla radice del problema e non aiutano un recupero di chi ha sbagliato, che continuerà così il suo percorso criminale ai margini.
Ad esempio : di fronte alla guida in stato di ebbrezza, perchè non ci si pone anche un problema di educazione e di analisi del disagio giovanile e non solo ? oppure si pensa che basterà essere solo più cattivi con chi viene beccato per far smettere gli abusi ?


Chi fa il genitore sperimenta che una pena troppo severa non viene accettata e genera repressione, mentre una punizione equilibrata e mite - ma autorevole - suscita ripensamento.


Purtroppo spesso vediamo come dalla civiltà del diritto siamo oggi passati ad un diritto spesso incivile.
Anche di fronte alla recente decisione della Corte Costituzionale che ha cancellato l'obbligatorietà di tenere in carcere anche durante la  fase cautelare gli indagati di alcuni reati gravi, un ministro reagisce dicendosi "allibito"... allibito per l'affermazione di basilari principi di civiltà giuridica ? 


Il punto è che si devono sempre e solo inseguire e assecondare i più bassi istinti della massa : è più facile urlare al mostro e parlare di sicurezza che affrontare il tema della responsabilità personale e farsi carico della rieducazione e del reinserimento del condannato.


Ci sentiamo tutti potenziali vittime e nessuno pensa di essere un potenziale autore di un reato , come se invece la possibilità dell'errore e della devianza non sia nel cuore di ciascuno.


Arriviamo infatti al paradosso di dover reinserire nella società chi in quella società spesso non si era mai saputo inserire, spesso per ragioni non solo legate alle scelte personali, ma per un complesso intreccio di vicende culturali e famigliari (la psicologia potrebbe insegnarci molto su questo...).
Colpa anche di un diritto penale delle favelas che si occupa con durezza degli emarginati ed è invece assente o spesso titubante con i colletti bianchi e la borghesia mafiosa.


...in attesa che anche la politica torni a parlare alle nostre teste invece che alle nostre pance... restiamo umani.





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